menubò: la raccolta

Tempura…che frittura!

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Anche chi è troppo antiquato per apprezzare sushi, sashimi e altre prelibatezze nipponiche a base di pesce crudo, non può non apprezzare un bel piatto di tempura. È la magia del fritto: rende tutto buono. E in questo caso, accorcia distanze geografiche e culturali considerevoli, per regalarci l’illusione che in fondo la cucina giapponese non sia troppo diversa dalla nostra. Piatto a base di frittura di gamberi, calamari o verdure, la tempura infatti ricorda tanto certe sportine di pastellati servite per antipasto in quasi tutte le trattorie d’Italia. Eppure è molto diversa. La sua particolarità consiste, oltre che in una maggiore leggerezza, in una coltre di sottilissimi ricciolini croccanti che rendono il fritto più gustoso che mai. Il segreto? Lo shock termico e qualche grumo di troppo. Confrontando le ricette, si scopre infatti che gli ingredienti base della pastella son sempre gli stessi (acqua, uova e farina), ma gli chef di Tokyo mescolano il tutto in una ciotola immersa in cubetti di ghiaccio e non si preoccupano di ottenere un impasto troppo omogeneo, lasciando qua e là qualche grumo di farina. Usano inoltre sempre acqua frizzante, accorgimento che tuttavia si trova anche in alcune delle nostre ricette. Il contrasto tra la pastella gelata e l’olio a 180 gradi dona al fritto quel non so che di brioso che manca ai nostri calamari. A ben vedere però anche di questo segreto possiamo prenderci un po’ il merito. Pare infatti che il nome ‘tempura’ provenga dalla dicitura cristiana ‘quattro tempora’ e fa riferimento ai tre giorni iniziali di ogni stagione quando i missionari gesuiti giunti in Giappone si astenevano dal mangiare carne, facendo evidentemente grandi scorpacciate di verdure e pesce fritti…

Silvia Gusmano

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La resistenza a base di yogurt!

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Si è molto parlato nel gennaio 2010 di Rosarno e delle sue campagne, dove migliaia di migranti, per lo più provenienti dall’Africa, lavorano per una manciata di euro al giorno. Se ne è molto parlato perché un giorno i braccianti hanno detto basta e si sono ribellati allo sfruttamento che ci permette di portare sulle nostre tavole arance e mandarini a buon prezzo. Molti di loro, dopo la rivolta, son stati costretti a fuggire e a centinaia son giunti a Roma.
Cosa ne è stato di loro? Nelle campagne di Rosarno, così come in quelle di Foggia e del resto d’Italia poco è cambiato, ma oggi vogliamo raccontarvi di una piccola storia di resistenza e di rinascita. Parliamo di Barikamà – che in lingua Bambarà significa, appunto, Resistente – una piccola cooperativa formata da un gruppo di migranti fuggiti da Rosarno, dedita alla produzione di yogurt artigianale e biologico. E buonissimo!
Dopo Rosarno, gli ex braccianti non avevano più nulla, se non la voglia di ricominciare e di ottenere finalmente dignità e una vita libera dallo sfruttamento. Hanno iniziato in due, con 15 litri di latte. Oggi son diventati sei: Suleman, Aboubakar, Sidiki, Cheikh, Modibo e Youssouf. La produzione è arrivata a 150 litri di latte a settimana. Il loro yogurt è prodotto con latte biologico intero del Casale Nibbi di Amatrice e lavorato presso il Caseificio del Casale di Martignano, senza uso di conservanti addensanti e dolcificanti.
Lo yougurt di Barikamà è anche ecologico: la cooperativa pratica il vuoto a rendere per i barattoli e per le consegne in tutta Roma viene utilizzata la bicicletta. I ragazzi di Barikamà riforniscono i GAS (gruppi di acquisto solidale) cittadini e partecipano ai mercatini di Terra Terra. Su ordinazione fanno anche consegne a domicilio.
Barikamà è insomma un progetto di microcredito ma è anche molto altro. Con il passare del tempo, pedalando in lungo e in largo, partecipando ai mercatini e presentando il loro progetto in giro per la città i sei ragazzi, oltre a un reddito, hanno trovato  una comunità, nuovi amici e conosciuto una città meno ostile di quella che, solo quattro anni fa li aveva “accolti”, riluttante, sui marciapiedi di Termini.
Insomma, se siete estimatori dello yogurt e abitate a Roma, provate ad abbandonare gli scaffali del supermercato e mettetevi in contatto con i ragazzi di Barikamà o con il Gas del vostro quartiere. Non ve ne pentirete!
Per maggiori informazioni potete visitare il sito barikama.altervista.org

Francesca Bottello

 

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Alla faccia della modernità: elogio del passavivande

passavivandeChiunque si sia imbattuto in un architetto durante una ristrutturazione, sa che il must dei tempi moderni è demolire quanti più muri possibili. Pare che non si possa concepire una casa adatta agli stili di vita contemporanei senza “contaminare gli ambienti”, creare “ariosi open space” e attrezzare “accoglienti zone plurifunzionali”. In parole povere, oggi la cucina deve essere a vista, sconfinare in salotto, diventarne più che protesi, parte integrante. E ciò a prescindere dalle dimensioni della casa. Anche in ville a due piani, stile film americano, capita di vedere cucina e soggiorno fusi in un locale unico. Ormai è una scelta dettata in primis da criteri estetici. Ossia va di moda e in effetti quasi sempre si traduce in soluzioni carine e divertenti. Consapevoli di tutto questo e a suo dispetto, oggi vogliamo spendere una parolina in favore di una soluzione passata di moda almeno 30 anni fa: il passavivande. Per chi non ne avesse mai visto uno, si tratta di un’apertura nella parete attraverso cui far passare cibi e utensili (solitamente dalla cucina al soggiorno), apertura che all’occorrenza può essere chiusa con un apposito sportello. Cercandone la definizione in rete, si scopre che i primi a farne uso furono i monaci cistercensi nei loro refettori (alla faccia della modernità) e l’unico esempio famoso dell’era contemporanea risale alla serie tv Happy Days, dove una trafelatissima Marion Cunningham chiamava la famiglia a tavola proprio attraverso un passavivande. Ma tutto ciò non ci scoraggia. Anche oggi che le Marion sono in via di estinzione (fortunatamente), un bel buco nel muro rappresenta a nostro avviso una soluzione vantaggiosa da molteplici punti di vista. Consente di salvare una parete (e quindi una stanza) senza rinunciare ai modernissimi concetti di circolarità, comunicabilità, accessibilità e simili. È una scorciatoia comoda tra fornelli e tavolo da pranzo, ma chi ancora si preoccupa di problemi vetusti come odori, disordine e rumori (dalla cappa alla lavostoviglie) al momento opportuno può chiuderla.  E poi è carino da morire senza essere già visto in un milione di case alla moda!
Silvia Gusmano

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Il maestro dei fornelli

natale giuntaAuguri e complimenti a Natale Giunta, chef e ristoratore, chiamato il “Maestro dei fornelli”, noto al grande pubblico, oltre che per le sue indiscutibili capacità culinarie, perché dal 2006 è nel cast de «La prova del cuoco». Nel famoso programma della Clerici, Giunta quest’anno ha anche vinto la gara culinaria abbinata alla lotteria Italia, che il giorno dell’Epifania ha fatto vincere il primo premio ad un cittadino di Lecco. Partendo da un ristorantino a Termini Imerese, a qualche chilometro da Palermo, Giunta è diventato, ancor giovanissimo, un imprenditore di successo aprendo diversi ristoranti e una ditta di catering che moltiplica il suo fatturato di anno in anno. La cosa non è sfuggita alla criminalità locale, che subito ha inviato i suoi messi: la richiesta iniziale? “Mettiti a puostu, un fare ù sbirru”, 2 mila euro, da pagare sia a Pasqua che a Natale, “per il sostentamento delle famiglie dei detenuti”. Giunta, ha deciso di denunciare con  l’aiuto e il sostegno di Addiopizzo e dell’associazione antiracket Libero Futuro “Non è stata una scelta facile denunciare i miei estorsori, avevo e continuo ad avere paura”, dice lo chef, “ma non ho esitato un solo momento perché credo nella legalità e nella magistratura”. Bravo e Coraggioso!

Ivana Santomo

e dal sito www.natalegiunta.it, la sua ricetta per il

Cous cous alle carni bianche, ceci e spezie

300g di cous cous precotto. brodo vegetale, 2 cipolle rosse, 2 gambi di sedano, 1 carota, 1 patata, 200g di ceci precotti, 200g di polpa di vitello, 200g di fesa di tacchino, 40g di concentrato di pomodoro, olio e.v.o. sale e pepe

Rosolare in una padella con dell’olio extravergine le verdure tagliate a cubetti, unire i ceci sciaqquati e sgocciolati, il concentrato di pomodoro e la carne tagliata a pezzetti. Regolare di sale e pepe. Mettere il cous cous in una pirofila, bagnarlo con il brodo vegetale caldo e lasciar riposare per circa 15’. Unire le verdure e la carne al cous cous, mescolare bene e servire.

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Verso la scelta vegetariana

cartone verduraSe volete sostenere i giovani ricercatori e la ricerca scientifica, in libreria trovate il nuovo libro scritto da Umberto Veronesi e Mario Pappagallo: Verso la scelta vegetariana. Una vera e propria esortazione ad avvicinarsi all’alimentazione vegetariana, una scelta di vita non solo per  migliorare qualità della propria esistenza, ma anche per sostenere attivamente la difesa del nostro pianeta e per evitare le sofferenze a cui vengono sottoposti molti animali. Ne è convinto portavoce il professor Umberto Veronesi, che partendo dalle sue ricerche di oncologo di grandissima fama e dalla sua esperienza personale, espone le ragioni che lo spingono con fermezza verso questa scelta. Mario Pappagallo, in modo scientifico ma accessibile, racconta dello stretto rapporto che intercorre tra la buona alimentazione e la qualità di vita, e, del ruolo del cibo come prevenzione di molti tipi di tumore. La teoria illustrata dai due autori è corredata da una sezione pratica, curata da Carla Marchetti, cuoca e da molti anni vegetariana. Oltre 200 ricette, originali e facili da realizzare, per chi è già vegetariano o per chi vuole avvicinarsi alla scelta vegetariana senza scontentare il palato. Indiscussi protagonisti cavoli e agrumi, ricche di antiossidanti e principi antitumorali. Ma non mancano i cereali integrali, verdure, frutta, legumi, fino ai latticini, e ancora, il tofu, il “formaggio” di soia, il pak choi tipico ortaggio cinese: tanti ingredienti che danno nuova vita a ricette di nuova e antica tradizione vegetariana.

Alessandra

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Piccole pillole di autostima!

donneDonne formose alla riscossa!!! Questo potrebbe essere il nuovo motto in voga ai giorni nostri, dove il canone di bellezza per eccellenza è quello delle magrezza ossificata,  impersonata e ostentata da gracilissime fotomodelle e personalità dello star system, troppo spesso e -fin troppo!- imitate da ragazzine adolescenti e non! Ormai da alcuni anni diverse case di moda cercano di combattere contro la piaga dell’anoressia non scegliendo più modelle per le loro sfilate al di sotto della taglia 40. La moda, che rappresenta un settore di eccellenza nel nostro Paese ha il dovere di portare avanti messaggi positivi, dando un’immagine reale e sana dell’essere umano.  Infatti, da una nuova ricerca di un team di esperti dell’università di Pittsburgh e Santa Barbara, in California, emergerebbe la notizia che le donne formose  siano anche le più intelligenti. Lo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista “Evolution and Human Behaviour“, è stato condotto prendendo in esame 16mila donne americane. Si è scoperto che il rapporto ideale tra la circonferenza dei fianchi e la vita è compreso tra i 0,6 e i 0,7, ovvero chi ha un maggior distacco fra la misura dei fianchi e quella della vita (ossia  una forma a clessidra) ha raggiunto punteggi molto più alti nei test d’intelligenza. La spiegazione scientifica a tale risultato è data dalla presenza di un maggior quantitativo di Omega3 nelle donne formose, un grasso che avrebbe la tendenza a depositarsi principalmente su fianchi e cosce femminili. Inoltre, la presenza maggiore di Omega3 avrebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo del cervello dei figli durante la gravidanza. Ciò è stato dimostrato sottoponendo anche i figli delle donne in esame ad un test di intelligenza: quelli delle donne formose ottenevano dei punteggi molto più alti rispetto a quelli delle donne più magre. Già in passato un’altra ricerca aveva affermato che le donne con le curve riscuotono maggior successo tra gli uomini. La conferma viene direttamente dai sondaggi: su un campione di uomini tra i 25 e i 50 anni, il 45% degli intervistati vorrebbe avere una partner in carne e non solo perché la considera più attraenti. Finalmente una buona notizia per chi è sempre alla costante ricerca della dieta perfetta e per chi ogni anno è terrorizzata dalla prova costume!!!  ….piccole pillole di autostima!

Alessandra

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A ciascuno il suo

olanda“Delusione Italia, solo all’ottavo posto”, “In Olanda si mangia meglio che in Italia”, “Un piazzamento deludente per un paese che fa del mangiar bene un tratto forte e distintivo dell’identità nazionale”… e così via, questi i titoli, che si vanno susseguendo dopo la pubblicazione del rapporto dell’associazione umanitaria internazionale Oxfam. La Oxfam ha diffuso il Good Enough to Eat Index, un indice globale sull’alimentazione che confronta i dati di 125 paesi basati su qualità, livello nutritivo, e accessibilità dei cibi. Il podio è conquistato dall’Olanda seguita da Francia e Svizzera, poi ci sono: Austria, Danimarca, Svezia, Belgio, e, l’Italia. Nonostante un misero ottavo posto, non è vero che in Italia si mangia meno bene, come hanno voluto far credere gli articoli che hanno pubblicizzato il rapporto dell’Oxfam, insidiando il mito del cibo come simbolo ideale del made in Italy. Perché nel bel Paese si mangia bene, il problema è che non tutti possono accedere al cibo migliore, la crisi economica ha ridotto la quantità e soprattutto la qualità del nostro carrello della spesa. Lo dimostrano il proliferare del hard discount, e il segno negativo che registrano i consumi nel comparto alimentare. L’Italia potrebbe sicuramente essere al primo posto per qualità, fantasia e abilità nella preparazione dei piatti ma nel nostro Paese sempre più persone fanno fatica a far quadrare il bilancio. Il costo della vita in generale è più alto rispetto ai cugini europei che in proporzione spendono meno -rispetto al reddito- sia nell’acquisto dei cibi, sia nei consumi della ristorazione. Succede così che noi mangiamo le mozzarelle blu prodotte dalla Germania, o le passate fatte con i pomodori cinesi disidratati. I nostri prodotti, i migliori senza dubbio, finiscono negli scaffali dei supermercati stranieri e tra le mani dei migliori chef sparsi nel mondo, che ne fanno vanto nei loro menù a 5 stelle dove li citano per nome e cognome: pistacchi di Bronte, tartufo di Alba, brunello di Mntalcino… Tornare indietro si può? A ciascuno il suo, direbbe Pirandello!
Ivana Santomo

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Gli informatici si danno all’agricoltura

eutorto“Ritrovarsi senza lavoro a cinquant’anni è un esperienza da non raccontare. La cassa integrazione è un isolamento terribile, le giornate sono tutte uguali e il tempo diventa infinito.” Dicono gli ex lavoratori oggi cassintegrati dell’Agile ex Eutelia, uomini e donne di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che invece di ritrovarsi in mezzo ad una strada hanno deciso di ritrovarsi in un campo “un luogo dove andare con ciclicità, dove confrontarci, dove parlare di lavoro e di diritti negati”. Tutto questo a Roma grazie ad un terreno di tremila metri quadrati messo a disposizione dal comune, gli ex lavoratori hanno deciso di rimboccarsi le maniche, e soprattutto di portare a casa materialmente qualcosa da mangiare. L’avventura “in campo” è iniziata il 6 settembre 2010 presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Roma sull’esperienza degli orti urbani della Garbatella. Oggi, questa esperienza si è trasformata in un’associazione di promozione sociale “EutOrto”: il primo orto lavorato da cassintegrati. “Abbiamo utilizzato questo nome perché racconta la nostra storia. Eu sta per Eutelia, orto sta per orto, e c’è una “t” di mezzo che sta per torto. Con questo progetto abbiamo pensato di riparare ad un torto subito, ovvero la perdita del posto di lavoro” raccontano gli ex lavoratori, ovviamente da ex informatici non poteva mancare il blog, cliccatissimo, un collettivo di lavoratori online che vogliono continuare a stare insieme e superare così l’esclusione dalla realtà sociale e produttiva subita con la perdita del lavoro. Eutorto, specchio della crisi del mondo del lavoro ed esempio di condivizione e cooperazione. Infatti ognuno si è specializzato in uno specifico ambito: così c’è chi sa fare le marmellate, e chi si prende cura dei due alberi di fico appena nati, consentendo non solo un autoconsumo, ma anche condivisione di prodotti lavorati. Auguri e Buon lavoro!
Ivana Santomo

 

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Zucche Vuote

hallowHalloween, non più una festa esclusiva degli anglosassoni ma giorno solenne per adulti e bambini che amano “dolcetti e scherzetti” da brivido. Anche la capitale si è adeguata, non c’è che l’imbarazzo della scelta, basta un giro in internet, e, per tutti coloro che non hanno problemi di cuore, gli appuntamenti sono numerosissimi, con o senza maschera. Anche i grandi parchi italiani hanno confezionato ad hoc spettacoli e giochi per Halloween 2013, dal  Gardaland Magic Halloween, con il Gardaland Zombie Walk e il Gardaland Halloween Party previsto per il 31 ottobre con chiusura alle 22, alla notte delle Streghe a Mirabilandia. Insomma grandi feste e migliaia di zucche vuote trasformate in lampade. MadamaRicetta non può che occuparsi della polpa con nuove e imperdibili ricette. Le “Zucche Vuote” che per ora sono molte, e non solo per Halloween, le lasciamo ai festaioli!
Le ricette con la zucca:

cheeseZUCCAcake in tante versioni
Crema di zucca con crostini di rosmarino all’arancia

i favolosi TORTELLI DI ZUCCA IN CREMA DI STRACCHINO,

guarda anche il menù dello scorso anno “dolcetto o scherzetto” con le Lasagne con crema di zucca ai formaggi, Fiori di zucca al forno ripieni con gorgonzola, Zucca marinata servita con Mozzarella di Bufala, Torta di zucca e amaretti

MadamaRicetta

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SLOW TOWN

passeggiata in cittàPer chi non ama le notti da brivido, ricordiamo che il 31 ottobre oltre alle feste di Halloween, è la giornata del turismo slow. Questo “slow” che ora va tanto di moda – diffuso in Italia soprattutto da slowfood- per contrastare un’esistenza sempre più veloce e frenetica si va estendendo dal cibo a tantissimi altri campi, modi e momenti della nostra vita quotidiana. Uno è il turismo che legato all’attività sportiva progetta lunghe passeggiate per riappropriarsi delle città. Passeggiate tranquille e rilassate attraverso borghi e centri storici, con in programma anche aperture straordinarie di monumenti e palazzi solitamente chiusi al pubblico, dedicate agli amanti dell’attività sportiva all’aria aperta che non vogliono rinunciare all’arte e alla cultura. Il treking urbano è cresciuto negli ultimi anni guardando soprattutto a quei circuiti cittadini meno turistici e tradizionali, percorsi più liberi dedicati in modo particolare ai residenti, ma non disdegnato dai turisti. Queste le città che hanno aderito: Amelia (provincia di Terni) Ancona, Ascoli Piceno, Bassano del Grappa (provincia di Vicenza), Biella, Bologna, Cagliari, Chieti, Cividale del Friuli (provincia di Udine), Faenza, Fermo, Forlì, Giulianova (Teramo), Lucca, Mantova, Napoli, Orani (provincia di Nuoro), Ortona (provincia di Chieti), Padova, Palermo, Pavia, Perugia, Pistoia, Ragusa, Rieti, Salerno, Savignano sul Rubicone (provincia di Forlì-Cesena), Siena, Spoleto, Tarquinia (provincia di Viterbo), Tempio Pausiania (provincia di Olbia-Tempio), Teramo, Trento, Treviso, Urbino. Sul Lazio e Roma in particolare, vi consigliamo di visitare il sito “Appasseggio”, un’iniziativa nata nel 2012 per promuovere attivamente la cultura della passeggiata, la conoscenza del territorio, l’interazione con le comunità locali e l’esercizio fisico per il benessere della mente, dello spirito e della salute. Il Prossimo 2 novembre ore 10,30-13,00 saranno “appasseggio” al borghetto del Pigneto.
Ivana Santomo

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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per chi ha perso la puntata del 14 novembre a Cuochi e Fiamme, con la partecipazione della nostra corrispondente da Lugano Valentina Arena, trova qui il link per rivederla.

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