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Una nuova manna: arriva il dolcificante green

Stevia, sembra quasi una strenna di Natale, invece è il nuovo dolcificante, una rivoluzione tutta naturale, che sta prendendo il posto della classica zolletta di zucchero. Per la felicità dei diabetici e della bilancia, Stevia non ha calorie e non provoca carie. Questa piccola piantina originaria del Brasile e del Paraguay ha un potere dolcificante pari a 200/300 volte quello dello zucchero. Dopo averla sottoposta a numerosi studi scientifici l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ne ha autorizzato l’uso sino ad un massimo di 4 mg per chilo di peso corporeo. …leggi tutto

DULCIS IN FUNDO? Bisogna preparasi dall’inizio.

Tra parenti e amici forse le vacanze natalizie ci regaleranno anche qualche seratina da dedicare al nostro lui o lei. Per un menù tutto eros e passione vi rimandiamo a San Valentino, per ora solo qualche suggerimento su cosa bisogna evitare per non rovinare un possibile successo in amore. I cibi da schivare non sono pochi, partendo da aglio e cipolla, soprattutto se crudi, in questo possono esservi d’aiuto le ricette di Filippo La Mantia, che dell’assenza di questi due ingredienti, ne ha fatto un credo. Poi niente fagioli o legumi perché causa di effetti collaterali, non proprio gradevoli. Al bando minestrine e purè: sanno troppo di ospedale. Attenti anche alle ricette troppo salutiste, dalle insalatine di germogli di soia ai centrifugati rigorosamente bio, non sono molto romantiche. Escludete anche il fast-food, in contraddizione con una notte di amore che si spera slow….leggi tutto

Ciò che è buono non fa male…

Per i golosi è la notizia dell’anno: le patate fritte non fanno male. Chi non si è tormentato davanti ad un piatto di patate fritte, così buone e così caloriche? Per me erano di sicuro un tormento, quando da bambina, sempre grassottella, mi dicevano: “Cosa mangi? Pasta, nutella e patate fritte! Ti fanno male!” Capiamoci, privarsi di quel che ci piace non è mai una mossa troppo saggia, perché fiacca l’umore e di questi tempi non è proprio il caso. In soccorso arriva giustappunto la buona novella: le patate fritte non fanno male. A restituire il sorriso ai ghiottoni è una ricerca dell’Università di Napoli. …leggi tutto

Non solo frutta

Le castagne sono ricche di carboidrati complessi (amido) come i cereali, ed è per questo che non possono essere catalogate solo ed esclusivamente come frutta. Ricchissime di fibre, di potassio e di vitamine del gruppo B, per moltissimo tempo sono state il cibo predominante, povero ma altamente nutriente, per gli abitanti degli Appennini durante l’autunno e non solo. Negli ultimi anni sono diventate sempre più rare a causa di un insetto killer, che ne sta minando la sopravvivenza. L’insetto viene dalla Cina, ed è un parassita che attacca gli alberi di castagno impedendo la fruttificazione. La battaglia contro questo parassita è appena iniziata e ci vorranno almeno quattro anni per debbellarlo. A lanciare l’allarme è stata la Coldiretti, dando le cifre delle regioni più colpite, dalla Campania al Lazio, dalla Toscana all’Emilia Romagna ma anche Calabria, Veneto, Piemonte e Lombardia. Un duro colpo per l’Italia che è leader europea nella produzione di castagne. Certamente non ne avevamo bisogno! Speriamo che non finisca come per le palme, colpite dal punteruolo rosso, che abbiamo visto morire una ad una lungo le nostre coste. (…continua)

Vino novello: quest’anno arriva prima

Il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ha decretato che il 30 ottobre sarà possibile l’immissione al consumo del vino novello. Complice una stagione molto calda e assolata che ha anticipato le vendemmie e la semplificazione da parte del ministero delle norme nazionali di attuazione della normativa comunitaria in materia di etichettatura in generale, di menzioni tradizionali e di designazione e presentazione dei vini a DOP e IGP. (leggi le nuove regole).
Potremo così gustare in anticipo rispetto agli altri anni il primo bicchiere di vino della stagione 2012, ottima a dire dei viticultori. Il vino novello fa parte dell’antica tradizione contadina: con l’arrivo dell’autunno si spillavano piccole quantità di vino dalle botti in fermentazione, per controllarne lo stato di avanzamento e la qualità. …continua

Cacio e vino

Il formaggio ama preferibilmente i vini rossi e un po’ fruttati. Ma non disdegna i bianchi ben strutturati. Ad eccezione dei latticini che si sposano meglio con vini bianchi dal profumo leggero. Sugli abbinamenti formaggio vino si potrebbe dissertare per ore, noi invece nello stile di MadamaRicetta vi offriamo un breve elenco.Formaggi freschi e latticini o formaggi caprini giovani e formaggi a pasta dura non cotta: vini bianchi, dal profumo leggero, rotondi, mediamente freschi, o vini rossi giovani, non molto impegnativi, dal profumo leggero, moderatamente morbidi e moderatamente freschi. Formaggi a pasta molle o formaggi a pasta dura, cotta, ma poco stagionati: vini rossi di buon corpo e buona personalità, con dei profumi abbastanza intensi, moderatamente morbidi a temperatura ambiente, abbastanza tannici. Formaggi a pasta dura cotta, molto stagionati, o caprini stagionati: vini rossi maturi, ricchi di profumi, di grande struttura meglio se invecchiati, dal profumo abbastanza intenso, molto equilibrati, sapidi, giustamente tannici e caldi. Per esempio…
Latticini (pinot grigio, verdicchio, oggi amati anche con la birra cruda). Formaggi di media stagionatura a pasta molle (taleggio, quartirolo, caprino, caciotta) con (Marzemino del Trentino, lago di Caldano, Merlot delle grave del Friuli, Cirò). Asiago, provolone, montasio (Dolcetto d’Alba, Valpolicella, Chianti, Aglianico del Vulture, Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese o del Friuli). Quando si può, abbinate vini e formaggi della medesima regione: Parmigiano con Sangiovese di Romagna; pecorino sardo con un rosso Cannonau; pecorino toscano con il Chianti, caciotta stagionata marchigiana con la lacrima di Morro d’Alba; Il caciocavalo campano conl’Aglianico e così via. Per abbinamenti insoliti provate il passito per i formaggi stagionati, e il vino bianco muffato (se non lo conoscete vale la pena di provarlo), è ottimo soprattutto con i formaggi forti di capra, gorgonzola o roquefort.
Ivana

Il cacio in tavola


I formaggi amano i contrasti, sicché, a volte si trovano avvolti in erba cipollina o impanati con frutta secca, uvetta e melange di pepe. L’incontro con spezie e ingredienti dolci, esalta gli aromi nascosti del formaggio. In un menù di soli formaggi potete sbizzarrivi tra tantissimi prodotti.
In primis i latticini: qualche cestino di ricotta servito con delle ciotoline di miele accanto; delle mozzarelline o burratine, di bufala e non, accompagnate con tazze piene di pomodorini e ciuffi di basilico. Un tagliere di formaggi dal sapore più deciso accompagnati da piccoli bicchierini con marmellate agli agrumi, alle pere e al peperoncino, composte di cipolle e chatney. Cubetti di formaggi dal taglio più morbido, come le caciottine, insieme a un cestino di pere piccole. Tagli di Gorgonzola e Roquefort serviti su piatti con al centro chicchi d’uva e noci sgusciate. Si potrebbe continuare all’infinito. Ricordate sempre di fare un piccolo angolo con delle insalatine miste e spicchi di mela, aiutano a colorare la tavola, a compensare le calorie del formaggio e a pulire la bocca per gustare meglio i sapori tra un formaggio e l’altro. Il cestino del pane che accompagna il formaggio deve essere rigorosamente misto: pane bianco e nero, alle olive e alle noci; piccoli quadrotti di focaccia bianca; grissini e tarallini salati; fogli di carta musica e …così via. La tavola deve essere rustica e raffinata: preferiamo tovaglie di lino tinta unita, taglieri di legno e cestini in vimini, foglie di vite da poggiare sulla tavola o intorno ai cestini. Scegliamo la giusta illuminazione, non troppo forte, con qualche candela poggiata qua e là, contornata da fili di paglia.
Ivana
guarda la scheda dei formaggi

La crisi secondo Einstein

“Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
Albert Einstein

“Non di solo pane”

Secondo un antico detto, “non di solo pane vive l’uomo”. È una grande verità. Ma la panificazione, nata circa quattromila anni fa, è l’emblema della nostra civiltà. Non solo il pane è il cibo più buono che io conosca – appena uscito dal forno e intinto nell’olio d’oliva, con un pizzico di sale e uno di pepe, è ineguagliabile -, ma è stata la coltura dei cereali a spingere i nostri antenati nomadi a scegliere la vita sedentaria, da cui sono nate le prime comunità. Semina, mietitura, trebbiatura e molitura del grano non possono essere il frutto del lavoro di una persona soltanto, e così è anche per la panificazione, Il pane è sociale. Metaforicamente e no. Il pane è fatto per essere tagliato, offerto, diviso e condiviso. A tavola non si può non pensare agli altri comemnsali, a chi è accanto o di fronte a noi, e a passare loro il cestino del pane. Da Palermo a Milano, i panettieri modellano una forma di pane piccola e rotonda, la rosetta o michetta, simile alla rosa Tudor: corolla centrale e petali della stessa grandezza. Mia madre, sempre attenta, quando si accorgeva che sul mio piatto di verdura bollita era rimasto dell’olio e limone o del sughetto, staccava un petalo di pane e me lo porgeva discreta. In Sicilia si dice che la tavola priva di pane “piange”: non c’è convivio, né allegria”.
(La cucina del buon gusto, Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati. Feltrinelli)

Tradizione abruzzese: pane cotto e lumache

Il pane cotto e le lumache sono due piatti poveri della cucina contadina abruzzese. Entrambi fatti senza dover acquistare nulla. Il pane cotto era generalmente una pietanza invernale servita la sera, una minestra calda fatta per riciclare gli avanzi di pane secco, arricchita dalle proteine dell’uovo (anche quest’ultimo abbondava nei pollai dei contadini). Le lumache erano invece una festa per i bambini. Solitamente dopo gli acquazzoni primaverili ed estivi, i contadini più anziani -rimasti a casa perché non più in grado di lavorare nei campi- portavano con sé i nipotini in campagna a raccogliere le lumache. Stivali ai piedi, buste in mano, nonni e nipoti facevano a gara a chi ne prendeva di più. Nella categoria dei prodotti selvatici, la lumaca è certamente uno degli alimenti più antichi della storia umana. Apprezzata dai Greci e dai Romani, la lumaca trova il suo massimo splendore in Francia, “le lumache alla bourguignonne”, infatti, sono uno dei piatti più classici della cucina francese.

Favole e fave

Le fave sono il frutto di una pianta coltivata già 3000 anni fa, lo testimoniano i rinvenimenti in tombe egizie, a dimostrazione che sono i primi legumi che l’uomo abbia mangiato. Attraverso Greci e Romani sono giunte a noi, e si sono fatte spazio nelle tavole dei contadini, sopratutto i più poveri. Venivano chiamate la carne dei poveri perché pur costando nulla sono ricchissime di proteine, vitamine, fibre e potassio. Hanno conquistato così un ruolo da protagoniste in molti piatti del sud, come il macco di fave in Sicilia, fave e cicoria in Puglia, la vignarola nel Lazio e tanti altri gustosi piatti della cucina mediterranea.
A questo proposito mi piace ricordare una credenza piuttosto diffusa nelle campagne del centro e del sud del nostro Paese: chi apre un baccello di fava vi trova dentro sette fratelli avrà un lungo periodo di felicità.
e alla “fava porta fortuna” è dedicata questa fiaba di Italo Calvino. (…continua)

C’è vegetariano e vegetariano


Perché dico questo? Perché mi è capitato più di una volta che il vegetariano di turno condizionava tutti i presenti con la sua tolleranza-intolleranza verso i carnivori.
Gandhi, il vegetariano par excellence, precisamente vegano, diceva: “Bisogna che i vegetariani siano tolleranti se desiderano convertire gli altri al vegetarianismo. Adottate un po’ di umiltà”. Ecco, penso che anche a voi sia capitato che il vegetariano diventasse la star della serata. Se non è così siete stati davvero fortunati. (…continua)

Pesce e formaggio: nozze antiche e felici

Il mio primo approccio con l’abbinamento pesce e formaggio risale agli inizi degli anni ’90 quando un esordiente Vissani a Unomattina impanò un’orata con del pecorino. Rimasi talmente sbalordita che il pomeriggio ero già in pescheria a comprare le orate: bisognava provare subito! Il risultato: una poesia. Pesce e formaggio lontani e vicini, divisi dalla nascita come mare e terra, proprio come mare e terra, a volte, si compenetrano e si completano magnificamente. (…continua)

La forma del latte

Morbida, fresca, dolce, cremosa, di color bianco lucente. Di cosa stiamo parlando? Della ricotta naturalmente, la forma del latte (parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Andrea Camilleri), un cibo delizioso quanto semplice e naturale che ha il gusto dei pascoli e del latte appena munto e la sapienza antica di gesti tramandati da infinite generazioni. Un passato lontanissimo e tenacemente conservato da quella cultura materiale che è l’altra faccia della cultura alta (testimonianze letterarie e artistiche) e altrettanto indispensabile a ricostruire i modi e le ragioni dell’agire umano, cioè le faticose tappe del cammino dell’umanità. (…continua)

La cucina da leggere

“Nella nostra città (Firenze) […] fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi (di modi bizzarri) […] Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in ciascuna cosa che far voleva, astuto e avvenevole (piacevole), chiamato Maso del Saggio, il quale, udendo alcune cose della semplicità di Calandrino, propose (decise) di voler prendere diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova cosa (qualche sciocchezza). […] E informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo, insieme incominciarono a ragionare delle virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un solenne gran lapidario (un grande esperto di pietre preziose). A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie (prestata attenzione), e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza (che non si trattava di un colloquio riservato), si congiunse con loro (si unì a loro), il che forte (molto) piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole (proseguendo il suo discorso), fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone (luogo immaginario) terra de’ baschi (abitanti delle zone nord-occidentali della Spagna che avevano fama di un popolo dalle bizzarre abitudini) in una contrada che si chiamava Bengodi (altro luogo immaginario), nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca a denaio e un papero giunta (per un denaro si poteva avere un’oca e, in aggiunta, un papero), e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni (gnocchi) e raviuoli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi (da qui, cioè dalla montagna di parmigiano), e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di Vernaccia, della miglior che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua.” (…continua)

“E’ una Norma!”

La Pasta alla norma è un piatto tipico della cucina siciliana, in particolare di quella catanese. Il suo nome trae origine, secondo la tradizione, da un elogio che il commediografo Nino Martoglio, nell’autunno del 1920, esternò durante un pranzo a casa dell’attore teatrale Janu Pandolfini. (…continua)

I vini rosé

Il vino rosato è da sempre sottostimato. Non so se perché è tenuto in scarsa considerazione dagli addetti ai lavori, di certo i consumatori lo amano poco perché erroneamente lo ritengono spesso una miscela malriuscita di vino rosso e vino bianco. In Italia non ci sono notizie certe sulla nascita del vino rosato. Il primo (almeno il primo messo in commercio) viene alla luce nelle cantine di Leone De Castris nel 1943, in una contrada nel feudo di Salice Salentino chiamata “cinque rose”, da cui il nome del primo rosè. (…continua)

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