Mirò

QUATTRO CHIACCHIERE SU MIRO’

il carnevale di arlecchinoNoi catalani riteniamo che sia necessario tenere i piedi ben piantati a terra se si vuole compiere un salto. Il fatto di potermi posare a terra di tanto in tanto mi consente di saltare più in alto.” (Joan Mirò) 

Nato a Barcellona il 20 Aprile 1893, Joan Mirò farà del viaggio il tema dominante della sua vita; un percorso dentro se stesso e nell’arte, dal rosso delle rocce catalane ai colori di Parigi. Dai suoi viaggi tornerà sempre carico di colori e forme, di emozioni e stimoli che influenzeranno poi la sua produzione artistica. Determinanti si riveleranno per lui anche alcuni compagni di viaggio, brevi frequentazioni, amicizie ed incontri, da Picasso a Klee, portatori di suggestioni che entreranno a far parte della sua interiorità e che saranno destinate a rimanervi per sempre. Come molti artisti della sua generazione, egli desiderava esprimere qualcosa di infinito e minimale, per questo inizialmente si occupò di ricercare le sue radici affondate nella terra bruna di Catalogna provando poi a rappresentarle attraverso l’inafferrabile soffio vitale della pittura. Intorno al 1924 la conquista surrealista dell’inconscio cominciò a influenzare la sua produzione, in quell’anno appare il Primo manifesto surrealista e Mirò dipinse Il Carnevale di Arlecchino, un’opera all’interno della quale la straordinaria capacità di invenzione dell’autore venne esaltata dalla ricchezza formale e  dall’attenzione per il dettaglio.  Il dipinto rivelava uno straordinario schema compositivo, cioè una  distribuzione su tutta la tela di pesi e contrappesi che, sotto forma di divertenti creature della fantasia, festeggiavano il carnevale all’interno di una stanza. Sulle note giocose di un chitarrista meccanico i personaggi cominciarono ad assumere forme familiari: il pupazzo della scatola sbuca fuori da un tronco, il pesce giallo giace sul tavolo, appare una scala, vi sono fiamme, stelle, foglie, coni, cerchi, dischi e linee. Ogni particolare ha un suo ritmo e allo stesso tempo è legato a quello degli elementi circostanti, la figura di Arlecchino non domina la scena ma è perfettamente inserita all’interno di una composizione più ampia dalla quale però non viene fagocitato, riuscendo così a mantenere l’equilibrio totale senza dominarlo. Il quadro che si presenta in apparenza come un sogno divertente e bizzarro,  insieme ad altre opere simili, valse a Mirò la fama di “pittore infantile” (J.J.Sweeney, 1941), per via di quell’allegria e frivolezza senza pari. In realtà quello che ad un primo sguardo appare come una danza confusa e senza senso, è frutto, come lo stesso autore ebbe modo di dichiarare, di allucinazioni serali provocate dalla fame di intere giornate a digiuno, a cui in un secondo momento si univa la sperimentazione di dimensione, forma, colore e movimento. Senza volere entrare nel merito delle allucinazioni di Mirò, in tema di colore e movimento preferiamo unirci idealmente a quella festosa scorribanda dell’opera, con le maschere della nostra tradizione, Arlecchino e Colombina, Brighella e Corallina, Pantalone e Capitan Spaventa, per godere del Carnevale italiano, quello di una volta, tutto coriandoli e stelle filanti. Un Carnevale che si consumava  per le strade, nelle case e non… nei Palazzi! E tra arte, maschere e feste, come la mettiamo con la gola? Piaceri che, come in ogni festa che si rispetti, debbono giocoforza essere luculliani. E così è, se pensiamo alle mille e più tradizioni gastronomiche che accompagnano il Carnevale italiano. Così chiacchierando qua e là, da nord a sud, diamo libero sfogo a nastri e losanghe, fettucce e quadrotti, rettangoli e rombi, tagliatela come più vi piace, la pasta dolce tirata sottile sottile con il mattarello, che si lascia liberamente plasmare dalla nostra fantasia. E parlando di bugie, lattughe, frappe e cenci, possiamo anche scoprire che se incontrano il sale possono diventare gnocco. E allora tuffiamoci per qualche giorno in un sano divertimento, indossiamo le meravigliose maschere della nostra tradizione, concedendoci anche, qualche eccesso gastronomico.
Cecilia Puleo

CHIACCHIERE DI CARNEVALE

350 g farina 00, 2 uova, 100 g zucchero, 1 bustina di lievito in polvere, 2 cucchiai di latte tiepido, 3 cucchiai di Malvasia, scorza di mezzo limone non trattato, cacao in polvere, zucchero a velo, olio di arachidi per friggere

Sciogliete il lievito nel latte tiepido. Setacciate la farina e disponetela sul piano di lavoro a fontana, mettere al centro le uova, lo zucchero il lievito con il latte, la Malvasia, la scorza di limone grattugiata e un pizzico di sale. Lavorate il tutto con le mani fino ad ottenere un impasto elastico. Fatene una palla, coprite e lasciate riposare per un’ora. Poi con un mattarello stendete la pasta in una sfoglia sottilissima e con la rotella dentata tagliate dei rettangoli. Friggete in immersione in olio bollente (circa 180°) finché avranno preso un colore dorato. Scolate, fate raffreddare e spolverate di zucchero a velo o di cacao in polvere.

GNOCCO FRITTO

500 g di farina bianca 0, 25 g di lievito di birra, 15 g di sale, aghi di rosmarino, 1 litro di olio di arachidi, 100 g di parmigiano grattugiato,

Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida e incorporatevi la farina, aggiungendo il rosmarino tritato finemente e il sale. Lavorate il tutto con le mani fino ad ottenere un impasto compatto e lasciate lievitare per un’ora. Scaldate l’olio in una casseruola capiente. Stendete la pasta con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile, dividetela in strisce e ritagliate nella forma che preferite. Friggete, scolate in carta assorbente, salate leggermente e cospargete di parmigiano grattugiato.

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