Lavoratori! Si può ancora festeggiare?
Si avvicina la stagione dei pomodori e tornano gli schiavi. A quasi un quarto di secolo dal film Pummarò di Michele Placido nel 1990, nulla è cambiato. Nulla di nuovo sulla tracciabilità di chi lavora i prodotti e sulle filiere della grande distribuzione. Non è stato inserito nell’ordinamento penale il reato di caporalato e non c’è stato nessun inasprimento nei confronti dei caporali. Un comportamento criminale ancora oggi punito solo in caso di flagranza di reato e con una sanzione amministrativa di 50 euro per ogni lavoratore. Lavoratori sottopagati nella maggior parte migranti, ridotti in condizioni che spesso superano il concetto di schiavitù. Li abbiamo visti e rivisti nelle trasmissioni di Report e nelle inchieste di Riccardo Iacona, dalle arance di Rosarno ai pomodori di Foggia. Li abbiamo visti nelle produzioni internazionali come la trasmissione di France 2, con «Les recoltes de la honte», i raccolti della vergogna, dove si ripercorre la filiera di broccoli e pomodori, partendo da un’azienda di distribuzione in Veneto. Un viaggio proseguito nelle campagne del foggiano tra migranti costretti a vivere in baraccopoli improvvisate, senz’acqua, costretti a lavorare gratis per ripagarsi il viaggio, tra la fame e le angherie caporali. Un reportage che ha indignato l’Europa, tanto da boicottare i prodotti italiani presenti sugli scaffali dei supermercati europei. Ultimo, ma solo in ordine di tempo “Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento” il film-inchiesta sul fenomeno dei migranti realizzato da Stefano Mencherini, giornalista indipendente e regista Rai, e coprodotto da Flai-Cgil Nazionale insieme alla Less onlus di Napoli. Negli ultimi anni la crisi che ha colpito l’Europa invece di colpire più incisivamente gli evasori registra un aumento di illegalità, che va dall’evasione contributiva all’uso improprio dell’apprendistato e al sottoinquadramento, fino all’utilizzo totale del lavoro nero, in Italia nella stragrande maggioranza dei casi, ma anche in Germania, come hanno testimoniato recentemente i lavoratori rumeni, assoldati nelle fattorie tedesche che producono le carni di maiale. Un quarto di secolo da ripercorre per continuare a parlarne, per continuare a denunciare. Per chiederci se non sia il caso di camminare e manifestare insieme a loro, perché la nostra battaglia di civiltà deve essere: cibo migliore ma soprattutto più diritti per tutti. Camminare e manifestare insieme a loro è un dovere, è rispetto della dignità umana, nostra e delle persone che lavorano nel nostro Paese.
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