Archivi del mese: aprile 2012

Coppa veloce al cioccolato


6/8 coppe
Mousse al cioccolato
400gr cioccolato fondente
1dl acqua
4 tuorli
4 albumi
100gr zucchero
500gr panna montata
croccante di nocciole (o mandorle)
100gr cioccolato bianco
200gr panna
1 vaschetta gelato caffè
300gr circa Biscotti frollini
1 bicchiere caffè espresso freddo
Occorrente:
Coppe o bicchieri
Sbattitore elettrico
Ciotole
Spatola lecca pentole
Frusta
Spallinatore da gelato
Saca a Poche
Procedimento:
Sciogliere a bagnomaria il cioccolato bianco. Tritare i biscotti facendoli a pezzetti grandi come nocciole. Versare i biscotti nel cioccolato bianco, amalgamare bene e versare su un foglio di carta forno ben separati. Lasciare in frigo. Fare delle palline di gelato aiutandovi con uno spallinatore ( il segreto è nel bagnarlo spesso) adagiarle distanti su carta forno e riporre in frizer ( controllate che il vostro congelatore sia almeno a -18°C).
Prepariamo la Mousse. Sciogliete a bagno maria il cioccolato fondente insieme all’acqua, mescolando di frequente. Intanto montare a schiuma i tuorli e lasciarli da parte. Montare a neve gli albumi con lo zucchero avendo cura di aggiungere quest’ultimo piano piano ( a pioggia ) a partire dal momento in cui l’albume comincia a diventare bianco. Montare la panna semimontata ( deve scrivere ma non essere troppo dura).
Una volta sciolto il cioccolato aggiungere con una frusta delicatamente i tuorli. Aggiungere sempre delicatamente gli albumi con una spatola lecca pentole e successivamente anche la panna. Lasciare da parte.
Montare l’altra panna che avevamo comprato (200g) semimontata.
Montaggio del dolce:
Sbriciolare un po’ di croccante sul fondo del bicchiere. Mettere un dito di spuma al cioccolato ( un sac a poche facilita l’operazione). Uno strato sottile di panna semimontata. Biscotti al cioccolato bianco spezzettati per circa un cm. Di nuovo spuma al cioccolato. Qualche pezzettino di croccante qua e la. Riporre in frigo. Al momento di servire posizionare al centro sopra la spuma la pallina di gelato al caffè, e bagnare con uno o due cucchiai di caffè espresso freddo lievemente zuccherato. E’ consigliato finire il dessert 10-15 min prima di servirlo cosi che il gelato abbia il tempo di arrivare a temperatura e non risultare troppo duro.

Consigli
– Avere sempre una dose di mousse al cioccolato in freezer puo salvare molte cene improvvise. Basta riporlo in una vaschetta e scongelarlo la sera prima della cena. Si possono creare a la minute coppe sfiziose come questa con gli ingredienti che avete in casa ( frutta fresca, secca, salsine o marmellate ecc) e la vostra buonissima spuma al cioccolato di scorta!

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Panna cotta bigusto con salsa Passione

8/10 porzioni
Panna Cotta Vaniglia
600gr Panna
3pz Gelatina in fogli ( 12g)
60 gr  Zucchero
1pz  Stecca Vaniglia
Panna Cotta Lampone
400gr Panna
100gr Succo Lampone
100gr Lamponi Freschi Frullati
Oppure 200gr Lamponi Freschi Frullati
3pz Gelatina in fogli ( 12g)
60gr Zucchero
Salsa Frutto della Passione
6 Frutti della Passione
3 cucchiai di zucchero
Occorrente
Pentolino, Frullatore, Bicchieri in vetro, Frusta
Procedimento
Iniziamo con la Panna cotta ai Lamponi.
Mettere in ammollo la gelatina in acqua fredda. Portare ad ebollizione la panna con lo zucchero, togliere dal fuoco e aggiungere il succo e i lamponi freschi frullati (o solamente i lamponi freschi frullati seguendo le dosi). Mescolare accuratamente con una frusta e versare nei bicchieri per circa 3-4 cm facendo attenzione a non sporcare i bordi. Far riposare in frigo finche non rapprende, alemno 2 ore (quando si ha poco tempo il freezer è un ottimo alleato, bisogna solo stare attenti a non metterci cibi troppo caldi; dunque aspettate che la panna cotta sia a temperatura ambiente, poi versatela nei bicchieri e successivamente riponetela 30min in freezer).

Nel frattempo preparate la panna cotta alla vaniglia.

Mettere in ammollo la Gelatina. Portare ad ebollizione la panna con lo zucchero e la stecca di vaniglia (aprirla a metà, grattare il contenuto e mettere tutto, compresa la bacca, nella panna). Togliere dal fuoco, recuperate la stecca di vaniglia e gettatela, e aggiungere la gelatina. Lasciate che raggiunga la temperatura ambientale. Versatela ora sulla panna cotta al lampone sempre di circa 3-4cm. Se la verserete calda sullo strato di panna cotta al lampone si scioglierà e mischierà tutto.
Adesso preparate la salsa al frutto della passione. Tagliate a metà il frutto e con un cucchiaio grattate l’interno. Versatelo in un pentolino con lo zucchero e fatelo addensare fin quando, mettendo un cucchiaino dentro e facendo una striscia con il dito sul suo retro non resteranno 2 parti abbastanza distinte. Fate raffreddare bene e versatene un cucchiaio sulle panne cotte.
Consigli:
– è importante metter i fogli di gelatina uno per uno in acqua fredda, per evitare che si attacchino
– un idea in più potrebbe essere quella di frullare 100g di lamponi freschi e aggiungere 30g di zucchero.
Versarli in degli stampini grandi come una moneta da 2 euro (va bene anche una formina da ghiaccioli, meglio se in silicone, altrimenti rivesti tela di pellicola) e congelarli. Adagiateli sulla panna cotta al lampone già rappresa, prima di versare quella alla vaniglia (accertatevi che non sia calda!). Avrete così un cuore cremoso di lampone all’interno della vostra panna cotta. Vi consiglio di servirla il giorno seguente così che il vostro cuore al lampone abbia il tempo di scongelarsi per bene.

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Torta Fresca di Yogurt e Ricotta alle Fragole


per 6/8 persone

Base
220g di biscotti frollini
120g burro fuso
Torta
250g Yogurt alle Fragole
250g Ricotta Vaccino
125g Zucchero a Velo
il Succo ½
Limone
400g Panna Montata
16g Gelatina in fogli (colla di pesce)
Gelatina
250g Fragole
Fresche
80g Zucchero
5g Gelatina in fogli*
Fragole Fresche per decorare

Occorrente
Sbattitore elettrico
Mixer
Spatola lecca pentole (Marise)
Frusta
Ciotola
Pentolino
Stampo per torta tondo inox senza fondo
Procedimento
Prima di tutto foderare l’esterno dello stampo con della carta alluminio ben stesa sul fondo.
Ritagliare un cerchio di carta forno della grandezza dello stampo e adagiarlo sul fondo.
Adagiare lo stampo su un supporto piano come ad esempio un piatto o un vassoio.
Tritare al mixer i biscotti fino a ridurli in polvere. Mescolarli insieme al burro e metterli nello stampo avendo cura di pressare bene sul fondo con un cucchiaio, creando uno strato compatto alto poco piu di ½ cm. Riporre in frigorifero per al meno 1h ( in mancanza di tempo si può lasciare in freezer per 20 min).Mettere in ammollo la gelatina in fogli in acqua ben fredda.
Montare la panna nello sbattitore elettrico e riporla in frigo.
In una ciotola mescolare con la frusta lo zucchero, la ricotta  e lo yogurt. Mettere in un pentolino il succo di limone e far scaldare senza far bollire. Togliere dal fuoco e scioglierci dentro la gelatina, dopo averla tolta dall’acqua e strizzata, mescolando bene. Aggiungere il limone e la gelatina sciolta al composto di ricotta, yogurt e zucchero e mescolare con cura. Aggiungere ora la panna montata usando il lecca pentole facendo movimenti dal basso verso l’alto. Versare il composto cosi ottenuto nello stampo e lasciare riposare circa 2h in frigorifero.

Per la copertura: Frullare le fragole e metterle in un pentolino insieme allo zucchero. Mettere in ammollo la gelatina in fogli nell’acqua fredda. Far bollire 5 min, togliere dal fuoco e aggiungere la gelatina in fogli. Attendere che il composto diventi a temperatura ambiente e versarlo sulla torta. Una volta rappresa, passare delicatamente un coltello intorno alla torta e sformarla ( congelare la torta aiuta notevolmente l’operazione) Decorare con fragole fresche e servire.

Consigli:
-Il gusto dello yogurt può essere sostituito con il gusto che più preferite.
-Tenete da parte un paio di cucchiai di gelatina di fragole e allungatela con un cucchiaio di acqua. Potrete usarla per laccare le fragole fresche che utilizzerete per decorazione, evitando che si formi quell’anti-estetica crosticina che si forma sulla frutta tagliata che prende aria.

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Un ortotavolo per la vita

Un ortotavolo come regalo di nozze: può andare? “Che accidenti è un ortotavolo?” si chiederanno anzitutto in molti. Trattasi di un tavolo, di misura variabile a seconda dello spazio a disposizione, ripieno di terra, dove crescono – si spera – frutta e verdura. È pensato per chi ha una terrazza in città e sente nostalgia della campagna. E qui la seconda domanda: “perchè regalarlo per un matrimonio?”

Perchè fa chic, naturalmente. Coltivare pomodori fuori dalla finestra con il sottofondo di clacson e l’odore di smog nell’aria è l’ultima moda. E a noi piace perchè anche se il risultato non è quello dei pomodori biologici cresciuti al sole campestre, rappresenta comunque una risposta a molteplici storture del mondo moderno.

L’agricoltura urabana, nata in Germania intorno alla metà dell’800, negli ultimi tempi sta conoscendo sviluppi inediti, ben più significativi dell’ortotavolo. Secondo i dati della Fao, gli orti urbani, ossia gli spazi verdi pubblici concessi ai cittadini per uso agricolo, potrebbero diventare un’efficace soluzione alla “bomba demografica” che sta esplodendo nei Paesi in via di sviluppo. Nelle aeree più povere del pianeta, infatti, nascono ogni dodici mesi agglomerati urbani pari a cinque volte la città di Pechino. La popolazione cresce vertiginosamente e, al contempo, fugge dalle terribili condizioni di fame e miseria che affliggono le zone rurali. Avere città più verdi e “coltivabili” significherebbe, soprattutto per le fasce più povere di questi paesi, la sicurezza di mangiare cibo sano e in quantità sufficiente.

E dall’altra parte del pianeta, quella sommersa dal superfluo, che posto occupa l’agricoltura urbana? Anche qui, per motivi diversi, rappresenta un fenomeno in espansione. Sicuramente la crisi in corso le ha dato una notevole spinta (le coltivazioni fai da te consentono un bel risparmio), ma alla base del suo successo troviamo prima di tutto il desiderio di sapere cosa si porta in tavola. L’incubo inquinamento (dell’aria, dell’acqua, del terreno) perseguita i consumatori, mentre i cibi bio in vendita hanno quasi sempre prezzi esorbitanti. Inoltre mangiare i prodotti cresciuti nell’aiuola all’incrocio sotto casa o nel proprio ortotavolo è molto “eco frendly”, perché a bassissimo consumo energetico. Tutti ricordiamo Michelle Obama immortalata con le figlie nel suo orticello alla Casa Bianca, ma anche da noi non mancano esempi virtuosi.

Diversi comuni in tutta Italia tramite bandi e concorsi pubblici, concedono ai cittadini alcuni spazi verdi perché, letteralmenbte, li facciano fruttare. Nascono così gli orti urbani, la cui prima finalità è quella di promuovere la socializzazione e il recupero dei valori comunitari. A trarne vantaggio sono le fasce più vulnerabili delle realtà cittadine, a cominciare dagli anziani e dai pensionasti spesso protagonisti in prima linea di queste attività. Soltanto nella capitale, secondo un progetto dello studio UAP –Zappata Romana –  sonoi già 90 i giardini coltivati a frutta e verdura, giardini in alcuni casi rinati dopo lunghi periodi di abbandono e degrado. Chi ci lavora, si batte per un modello di vita e di consumo più sostenibile rispetto a quello imposto dalla frenesia cittadina. Nella sua forma più estrema, lo stesso ideale anima le esperienze di Guerriglia Gardening, protesta non violenta di matrice ambientalista, che si esprime attraverso l’occupazione e la coltivazione di terreni pubblici in aree urbane.

Per tornare alla domanda iniziale, allora, possiamo dire che l’ortotavolo, nel suo piccolo, rappresenta un frutto prezioso di questa rivoluzione di idee e sentimenti in atto nelle città di tutto il mondo. E portarlo in casa, anzi sul terrazzo, di una giovane coppia in procinto di sposarsi, ci sembra un bellissimo regalo.

Silvia Gusmano

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Crostata di carote 

Tarallucci al vino

Rosa pizzetta

Polpette di melanzane e tonno

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Dieta Dukan: vangelo o eresia?

Se avesse vinto un Nobel sarebbe meno famoso. Pierre Dukan, neuropsichiatra convertitosi alla dietologia, è al momento uno dei medici più noti al mondo. Una notorietà che si declina in modi assai diversi a seconda del pubblico. Nell’universo delle starlette e dei loro fan è un idolo, un genio, un profeta. È lui che ha modellato il fisico di Kate Middelton nei mesi precedenti le nozze regali, secondo le rivelazioni della sua stessa mamma. Ed è sempre lui che ha ridato forma a Penèlope Cruz dopo il parto e a tante altre che vivono del proprio sex appeal (da Jennifer Lopez a Nicole Kidman). Come? Con una dieta in quattro fasi che aborrisce oltre ai soliti carboidrati, grassi e zuccheri, anche frutta e verdura. I chili di troppo si abbattono, secondo la disciplina Dukan, a suon di carne, pesce e (pochi) latticini magri. Per lo meno nelle prime settimane. C’è da rimetterci il fegato, il cuore e tanto altro, ma così sia. Già 13 milioni di persone hanno sperimentato quest’overdose di proteine e poche meno hanno collezionato i suoi libri monotematici (“La dieta Dukan” in tutte le varianti possibili: con foto, con ricette, con consigli sugli alimenti etc…). In Italia i lettori del dietologo francese sono oltre 600mila. E tutti, sentendo i discorsi per strada o sbirciando in qualche forum di aspiranti magri, hanno adottato il suo linguaggio da setta massonica: fare due giorni d’attacco e uno di purificazione, dare uno shock al corpo, risvegliare il metabolismo, non abbassare la guardia nella fase della stabilizzazione etc… Dukan, infatti, 71enne arzillo e narcisista, tutt’altro che simpatico, si dà grandi arie da santone: definisce il suo lavoro una missione, lancia anatemi contro l’obesità piaga dell’Occidente, grida contro un’economia malata che vive del superfluo e ultimamente si è intrufolato anche nella campagna elettorale francese. Ha dichiarato: “Il candidato socialista all’Eliseo Hollande prima della mia dieta sembrava un fumetto. Ora ha un aspetto napoleonico”. Con buona pace di quanti ritenessero che le preoccupazioni estetiche (dai tacchetti camuffa nani, ai parrucchini camuffa pelate) fossero prerogativa del centrodestra o che Napoleone non rientrasse tra i padri nobili del centrosinistra. Dopo la bistecca, infatti, il piatto forte del dott. Dukan sono le provocazioni. In una lettera aperta indirizzata al futuro presidente di Francia ha chiesto che all’esame di maturità vengano valutati (e penalizzati) i chili in eccedenza, come se il troppo grasso ostruisse il cervello degli studenti. Scontata la pioggia di critiche dei suoi tanti detrattori, provenienti per lo più dal mondo accademico. I peggiori nemici di questo guru dei tempi moderni sono proprio i suoi colleghi che, fronte compatto soprattutto in Francia, da mesi tentano di screditrarlo (attualmente vogliono radiarlo dall’ordine dei medici). E, naturalmente, così facendo pompano sempre di più la sua fama. Nell’ordine, lo accusano di: vendere fumo perché i chili persi con una dieta tanto sbilanciata si recuperano alla svelta; avvelenare i suoi seguaci, perché l’assunzione di così tante proteine danneggia diversi organi vitali; propagandare modelli distorti (vedi il maturando taglia 38); fare tutto ciò per mero interesse economico (inutile dire che Dukan sta diventando milionario). Esagerano? Parlano spinti solo dall’invidia? Certamente no. Da tempo la comunità scientifica raccomanda una dieta quanto più variata possibile e mette in guardia l’Occidente sulle conseguenze di un consumo esagerato di carne. Ma, d’altro canto, alla vigilia dell’estate, in tempi di dieta ferrea non solo per le starlette e, a quanto pare, per i politici, ma per milioni di occidentali sedentari e cicciottelli che sognano le vacanze al mare, che male c’è a farsi ammaliare un po’ da messier Dukan? Ottima è la misura, dicevano i Greci. E in questo caso è vero più che mai. Con qualche piccola postilla (tipo: bevete tanto così i vostri reni non vi malediranno; è una dieta come tutte le altre, il segreto è sempre e comunque il digiuno; non vi accanite troppo e troppo a lungo contro i rotolini di troppo) forse la dottrina Dukan non è da condannare a priori.
Silvia Gusmano

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Langhe di Pasqua

Il buon bere e il buon mangiare allargano i cuori: le Langhe in primavera ne sono prova lampante. Lassù tra colline, boschi, fiumi e castelli, tra nocciole, formaggi e cioccolata, il godimento regna sovrano. A dispetto del tormento e dell’inquietudine che, complici alcuni dei retaggi più suggestivi della nostra letteratura, si tende ad associare a quest’angolo di Piemonte tra Cuneo e Asti. Chi ha la fortuna di visitarlo la prima volta alla luce di un sole splendente, magari nei giorni dedicati per definizione ai piaceri della tavola – Pasqua e Pasquetta – fatica a trovare traccia della malinconia struggente di Pavese, della malora di Fenoglio o della gravità dell’Alfieri, tutti figli nobili delle Langhe. Incontra invece gente allegra e leggera con il bicchiere sempre mezzo pieno tra le mani, bicchiere da offrire e condividere. Gente curiosa, aperta, goliardica, con un senso dell’ospitalità e un orgoglio per i tesori di casa propria che ricordano certi spaccati del Meridione.

Gente concreta e combattiva che, all’indomani dell’8 settembre, ha fondato ad Alba – sua capitale storica ed economica – la prima repubblica partigiana d’Italia  e che ancora oggi intitola alcune delle annate migliori della sua produzione vinicola d’eccellenza a “La Resistenza” (riserva Barolo 2007 della Cantina Borgogno a Barolo).

Forse noi (sei amici rifugiatisi qui da Roma e da Milano per una spensierata “Pasqua con chi vuoi”) abbiamo sbagliato stagione. Dicono, infatti, che il momento migliore per visitare questa distesa di colline sia l’autunno, quando la nebbia avvolge tutto in un’aurea romantica, la neve si prepara a seppellire per mesi gli illustri vigneti del Barbera, del Barbaresco e del Dolcetto d’Alba, il freddo spinge a rintanarsi nelle migliaia di cantine che collezionano le migliori etichette degli ultimi trent’anni e il leggendario tartufo bianco d’Alba (in Fiera da 6 ottobre al 18 novembre) attira intenditori e appassionati da tutto il mondo. Lo scopriremo presto. Salutandoci, dopo un ultimo intenso omaggio alla cucina locale, ci siamo dati appuntamento tra sei mesi, stesso posto, stesso obiettivo: godere dei piaceri della vita. Nel frattempo però non abbiamo rimpianti: le Langhe di Pasque ci sono apparse come l’emblema stesso di una gioiosa e contagiosa Resurrezione. 

Silvia Gusmano

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Rosa pizzetta


questa è una ricetta facilissima, che viene sempre bene, che si può fare con qualsiasi cosa si ha in casa e allieta aperitivi o rinforza menù che ci sembrano un po’ poveri!

pasta per la pizza

ingredienti per l’impasto
500 gr di farina 0 (meglio se mista, io ad esempio uso 250 farina 0, 100 di grano duro e 150 di manitoba)
25 gr di lievito di birra (o una bustina di lievito secco)
15 gr di sale
10 gr di zucchero
50 gr di olio extravergine di oliva
1 (o al massimo 1 e 1/2) bicchiere d’acqua tiepida circa 300ml

Versate la farina in una ciotola e fate un buco al centro. Prendete un bicchiere d’acqua che avrete stiepidito (è importante: non fredda e non bollente), versate dentro il lievito di birra e lo sciogliete, aggiungete lo zucchero rimestate ancora e versatelo nel buco della farina. Girate lentamente cercando di prendere la farina man mano, tentate di usare solo una parte di farina lasciandone un po’ ai bordi e ottenendo un impasto morbido e lento al centro. A questo punto prendete la restante acqua, aggiungete il sale e l’olio, versatela nella farina e continuate a impastare prendendo tutta la farina. Tenere a parte un po’ di acqua tiepida e un po’ di farina che aggiungerete, se necessario, l’impasto deve risultare morbido ma si deve staccare dalle pareti della ciotola.

A questo punto lo coprite bene con un panno e lo lasciate riposare un paio d’ore.
Riprendete l’impasto e lo mettete su una spianatoia, strapazzatelo un po’, e dividetelo in tre parti uguali.
Ne prendete uno alla volta lo stendete sottilmente (ma non troppo) circa ½ cm, spalmate sopra il ripieno, lasciando un centimetro lungo i bordi, e l’arrotolate come fosse un salame.
Prendete la teglia da forno (sempre con la carta forno) tagliate il salame a fettine di un centimetro e mezzo e adagiatele sulla pirofila distanziandole, perché non si attacchino: irrorate con l’olio a filo ogni rosellina, poi in forno per 20 minuti. Devono essere ben dorate.

Più veloce
Compriamo l’impasto per la pizza già pronto dal fornaio e ancora più veloce i rotoli confezionati già stesi che troverete nel banco frigo di ogni supermercato.

I RIPIENI

Ci si mette di tutto e di più!

Spinaci:
500g di spinaci
200g di ricotta
100g di prosciutto cotto
30 g di parmigiano
olio, sale, pepe, un pizzico di noce moscata
lavate e lessate gli spinaci, li scolate molto bene e li ponete nel mixer insieme agli altri ingredienti, poi spalmate la farcia sulla pasta e arrotolate e tagliate a fette.

Broccoli:
1 broccolo romanesco
2 salcicce
100 g di cacio cavallo
olio, sale, pepe
lavare e lessate il broccolo, lo scolate e lo sbriciolate sulla pasta stesa. Spellate le salcicce crude e sbriciolandole con le mani le mettete sulla pasta, aggiungete il cacio cavallo ridotto a cubetti , il pepe e arrotolate (qui con il sale state attenti, se avete lessato il broccolo in acqua salata sarà sufficiente, perché le salcicce e il formaggio sono già abbastanza saporiti) e tagliate a fette.

Scarola:
1 cespo di scarola
10 olive nere
5 filetti di acciugha
100 g di formaggio tipo caciotta
olio, sale, pepe,

Prendete una pentola antiaderente, mettete l’olio un peperoncino ed un aglio in camicia schiacciato. Dopo averli soffritto per 3 minuti toglieteli e aggiungete la scarola lavata e scolata. Fate cuocere per 7/8 minuti.
Togliete dal fuoco fate intiepidire e versate sulla pasta stesa, aggiungete le acciughe, le olive denocciolate e tagliate a pezzetti, il formaggio a dadini, il pepe, arrotalate e tagliate a fette.

Pancetta:
10 fette di pancetta arrotolata
5 fette di fontina (150g)
olio, sale, pepe,
Versate sulla pasta stesa un filo d’olio e coprite con le fettine di pancetta, aggiungete le fette di fontina e il  pepe (anche qui pochissimo sale perché la pancetta renderà tutto già abbastanza saporito) arrotalate e tagliate a fette.

Pomodoro piccante:
un bicchiere di salsa di pomodoro
5 acciughe
50 g di parmigiano
1 scamorza piccola
20 capperi piccoli
olio, sale, peperoncino
Versate sulla pasta la salsa di pomodoro (meglio se un sugo di pomodoro già cotto, in alternativa va bene anche un semplice passato di pomodoro, in questo caso aggiungete alla polpa di pomodoro due cucchiai d’olio) mettete le acciughe, i capperi lavati e sgocciolati, la scamorza tagliata a dadini, il parmigiano e il peperoncino in polvere, arrotalate e tagliate a fette.

Radicchio e gorgonzola
un cespo di radicchio
150 g di gorgonzola piccante
un bocconcino (125 g di ozzarella)
olio, sale, pepe
Lavate il radicchio tagliatelo a striscioline, passatelo in padella con due cucchiai d’olio per 5/6 minuti, aggiustate di sale e pepe, fate raffreddare e versate sulla pasta. Aggiungete il gorgonzola e la mozzarella a piccoli cubetti, arrotalate e tagliate a fette.

Potremmo continuare all’infinito, e potete farlo da soli, due, tre ingredienti rimasti in frigo e il gioco è fatto!
MadamaRicetta

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Polpette di melanzane e tonno

Ingredienti
3 melanzane medie (lunghe o tonde)
200 g. di tonno sott’olio
2 uova
50 g. di parmigiano grattugiato
tre fette di pane raffermo
½ spicchio d’aglio
un ciuffo di prezzemolo
pangrattato q.b.
sale, pepe e olio evo

Preparazione
Mettete le fette di pane in acqua, quando sono ben ammorbidite scolatele e strizzate bene.
Lavare le melanzane, privarle del gambo e della corolla e tagliarle a dadi, lessarle per 5 minuti in acqua (se avete il microonde potete cuocerle in un contenitore coperto per 10 minuti). Fatele intiepidire e scolate tutta l’acqua in eccesso.
Versare nel mixer le melanzane, unite l’aglio ed il prezzemolo tritati, il sale, il pepe, le uova, il tonno sgocciolato, il parmigiano, il pane strizzato e amalgamare bene gli ingredienti, aggiungete un po’ di pangrattato se vi sembreranno troppo morbide (l’impasto deve essere morbido ma omogeneo e consistente dovete poterlo tenere in mano agevolmente per fare delle polpettine).
Formare quindi, con le mani inumidite, delle polpettine leggermente schiacciate e ponetele su di una teglia da forno con sotto la cartaforno. Versate sopra ogni polpetta un po’ d’olio a filo. infornate fino a che saranno ben dorate (circa 30 minuti a 200°).
Si possono anche figgere in olio bollente (per circa otto minuti, voltandole con due forchette; ricordate di metterle su un foglio carta assorbente per toglierne l’olio in eccesso) sono sicuramente più buone ma il fritto oltre che attentare alla nostra linea fa un sacco di cattivo odore in cucina. 

Sono ottime sia calde che fredde, si prestano per aperitivi, happy hour, antipasti e contorni.
Soprattutto visto che sono buone anche fredde si possono preparare il giorno prima!
 MadamaRicetta

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La forma del latte

Morbida, fresca, dolce, cremosa, di color bianco lucente. Di cosa stiamo parlando? Della ricotta naturalmente, la forma del latte (parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Andrea Camilleri), un cibo delizioso quanto semplice e naturale che ha il gusto dei pascoli e del latte appena munto e la sapienza antica di gesti tramandati da infinite generazioni. Un passato lontanissimo e tenacemente conservato da quella cultura materiale che è l’altra faccia della cultura alta (testimonianze letterarie e artistiche) e altrettanto indispensabile a ricostruire i modi e le ragioni dell’agire umano, cioè le faticose tappe del cammino dell’umanità.

La ricotta viene prodotta dal siero del latte che residua dalla lavorazione del formaggio ( è dunque un latticino non un formaggio!) attraverso una leggera acidificazione e cottura a circa 80 gradi (da qui il suo nome, ri-cotta cioè cotta due volte) e ha origini talmente antiche che si perdono nel mito. I Greci attribuivano infatti la sua scoperta ad Aristeo, figlio del dio Apollo e della bellissima ninfa Cirene, che dalle Muse apprese le arti dell’apicoltura, della coltivazione dell’ulivo e della lavorazione del latte. Nel corso dei secoli troviamo altre due rifondazioni del mito, una pagana e l’altra cristiana.

La più antica testimonianza letteraria della ricotta appartiene al IX canto dell’Odissea, dove Ulisse incontra Polifemo. Il celebre episodio è indissolubilmente legato all’astuzia di Ulisse, all’esaltazione delle sue capacità (Ulisse acceca il gigante e non gli rivela il suo vero nome, scampando così alla vendetta), ma se proviamo a invertire la prospettiva in questi versi giganteggia (è proprio il caso di dirlo!) la figura di Polifemo. Mostro orrendo e crudele, dotato di una straordinaria quanto distruttiva forza e per nulla somigliante, dice Omero, “alla stirpe che di pan si nutre”, Polifemo è il primo produttore di formaggi di cui resta memoria. Abitante solitario di una grotta vicina al mare, circondata da pini altissimi e ombrose querce, vive tra pecore e capre, conche e catini dove munge il latte, graticci dove conserva i formaggi. Qui Ulisse, senza ascoltare il suggerimento dei prudenti compagni, che lo esortavano a raggiungere in fretta le navi prima che il mostro rientrasse, si ferma a mangiare del “rappreso latte”, cioè della incantevole e golosa ricotta.

Più avanti, nel mondo latino, latticini e formaggi escono dalla letteratura per entrare nella trattatistica, con opere dedicate all’agricoltura, all’allevamento degli armenti e alla pastorizia, mentre un canestro di ricotta risplende su uno sfondo azzurrissimo nella pittura parietale del tempio di Iside a Pompei.

A lungo la ricotta, per le qualità nutrizionali e il basso costo, fu considerata un alimento povero. Basti pensare che ancora nei primi anni del secolo scorso i pastori della campagna romana – il Lazio è tra i grandi produttori di latticini e di formaggi – ricevevano come compenso una lira e cinquanta centesimi al giorno insieme a pane, polenta, ricotta e sale. Nella società antica e medievale sui latticini e più in generale sui formaggi, come osserva lo storico Massimo Montanari, pesava infatti il pregiudizio verso l’alimento latte, che era collegato all’idea d’infanzia e, per estensione, a quella della barbarie. Insomma i consumatori di latte erano considerati dei primitivi, eredi di quella società pastorale che consumava cibi forniti dalla natura, mentre gli evoluti erano i rappresentanti di una società agricola che utilizzava cibi inventati dall’uomo a partire dai prodotti naturali (ad es. il pane e il vino). Naturalmente la linea di demarcazione passava tra chi poteva spendere per nutrirsi e chi a stento aveva di che sopravvivere. Per i primi i derivati del latte erano tutt’al più un “ornamento delle tavole”, cioè uno dei tanti ingredienti di vivande elaborate, per gli altri una fonte primaria di nutrizione.

È durante il Medio Evo che si avviò il lento processo di nobilitazione dei derivati del latte, grazie alle istituzioni monastiche che continuarono a produrre latticini e formaggi. È in questo contesto che avviene la seconda rifondazione, questa volta cristiana. Protagonista non è più il mitico e ottuso gigante omerico, ma San Francesco che, giunto nel Lazio per organizzare una rappresentazione vivente della nascita di Gesù, avrebbe insegnato ai pastori l’arte di produrre la ricotta. La leggenda, ingentilita dalla presenza del santo della fraternità dell’umiltà e della povertà, fissa dunque nell’immaginario il ruolo che i monaci ebbero durante il Medio Evo: non solo depositari della cultura classica, di cui continuavano instancabilmente a trascrivere e quindi conservare le opere, ma anche delle tecniche della produzione casearia.

Col tempo e soprattutto grazie alla grande creatività della cucina italiana, che ha valorizzato alimenti considerati marginali e inventato accostamenti inediti e talvolta felicemente arditi, la ricotta ha conquistato un ruolo di vera protagonista in cucina e sulla tavola, perché duttile, versatile e generosa. La ricotta infatti può essere ricavata dal latte di vacca, di pecora, di capra, di bufala – con relative lievi variazioni nella consistenza e nel gusto – può essere fresca, stagionata, infornata, affumicata, speziata. La si può mangiare così com’è, magari con una spolverata di zucchero o, meglio ancora, accompagnata da un colata di miele. A proposito di questa ghiottoneria racconta Giorgio Vasari, il primo storico dell’arte italiana con le sue cinquecentesche Vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, un aneddoto riferito al grande Giotto. Ancora ragazzo, mentre badava al gregge, con una pietra appuntita disegnò una pecora su una “lastra piana e pulita”. Il caso volle che proprio allora passasse di lì Cimabue, pittore di grande fama, che si fermò ad ammirare quella figura incisa e subito, riconoscendone il genio, invitò il giovane pastore ad apprendere l’arte della pittura nella sua bottega. Leggendario incontro al quale qualcuno ha aggiunto un particolare ancora più leggendario: Giotto avrebbe offerto a quello sconosciuto di passaggio il suo pasto, della ricotta addolcita con il miele. Che sia vero o no questo fortuito incontro non conta molto e comunque ci piace credere a questa storia a lieto fine: l’intuito di Cimabue, il talento di un giovane pastore, il profilo realistico di una pecora e una ciotola di ricotta. Ingredienti questa volta non di una ricetta di cucina, ma di uno straordinario destino di artista.

Per la sua grande versatilità la ricotta si utilizza in cucina dagli antipasti ai dolci. La ricotta fresca si abbina infatti a tutti i colori e a tutti i sapori del mondo, perché non copre gli altri ingredienti, al contrario li esalta, li ammorbidisce, li lega. Discreta e generosa, ma sontuosa sempre, con il rosso del pomodoro dei cannelloni alla sorrentina, gli scrigni gialli dei ravioli, la morbidezza smeraldina degli spinaci o le sfumature malachite del cavolo nero dei toscanissimi gnudi (ravioli nudi, cioè senza il vestito di pasta), con il pallore della torta alle pere, l’oro e l’arancio dei canditi, il bruno del cioccolato, l’arcobaleno barocco della cassata siciliana. La ricotta stagionata cade invece come una nevicata di fiocchi saporosissimi sulla pasta alla Norma (un altro capolavoro, pari all’opera di Bellini che le ha dato il nome), sui fusilli alla bottarga di tonno dell’isola di Salina, sulle penne al pesto di pistacchi di Bronte.

Un’ultima curiosità prima di concludere. In molti paesi italiani si celebrano sagre legate a prodotti della gastronomia locale. Non sfugge a questo festoso omaggio popolare la ricotta e tra le sagre ad essa dedicate famosa è quella di Vizzini, il paese siciliano legato al nome e alla penna del grande Giovanni Verga. Inoltre in due località – Pietracatella, piccolo centro del Molise e Carlantino (Foggia) – si celebra una festa in onore della Madonna della ricotta. L’appellativo affettuoso attribuito a Maria, un modo di avvicinare il quotidiano all’eterno, è anche l’atto di devozione di chi doveva affrontare la transumanza, un viaggio che portava pastori e greggi verso il sud, dai pascoli estivi a quelli invernali, e che riservava incognite e pericoli.

Un esilio breve e con il ritorno certo, ma pur sempre un esilio. Così i pastori invocavano Maria a protezione e in segno di ringraziamento le offrivano la loro unica ricchezza, la ricotta.

Francesca Romana de’ Angelis

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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