latte

Mousse estiva alla lavanda


ingredienti per 4 persone
250g latte
2 albumi
30g farina setacciata
60g zucchero
300g panna montata
2 fogli di gelatina
1 mazzetto di lavanda (circa 10/15 fiori con foglie)
Lavare la lavanda e metterla nel latte. Portare a sobbollire. Fare raffreddare bene. Lasciare la lavanda in infusione per almeno 2 ore. Poi filtrare. In una ciotola sbattere gli albumi con lo zucchero, 100gr del latte alla lavanda e la farina (setacciata), cercando di non creare grumi. Portare a bollore il latte restante, versarlo nella ciotola mescolando accuratamente per amalgamare il tutto e riportare sul fuoco fino a nuovo bollore, quando la crema si addensa è pronta. Mettere subito dentro la gelatina, messa precedentemente a bagno in acqua fredda e strizzata per bene. Mescolare molto bene. Lasciare raffreddare la crema con della pellicola a contatto.
Una volta fredda passarla in un frullatore e renderla bella omogenea e liscia. Aggiungervi delicatamente la panna montata. Prendere 4 coppette mettendo magari sul fondo qualche lampone o fragola freschi, dei biscotti sbriciolati o delle lamelle di mandorle e decorare poi a piacere. Se invece volete un risultato più chic, mettete un piccolo fiore di lavanda poggiato sopra ogni coppetta.
Valentina

 

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Marc Chagall: Biancomangiare

L’arte, secondo Chagall, era uno stato d’animo che si manifestava  attraverso simboli soggettivi e non convenzionali è così che per chi ama cucinare, la cucina può diventare una terra di mezzo dedicata alla  libertà d’espressione. Imparando  ad accostare colori e sapori, immagini e profumi, si può intraprendere un simpatico  percorso sensoriale, un ipotetico giro per musei, concedendosi il lusso di… rimanere a cena!  Dopo Botticelli e Guttuso stavolta prenderemo un dolce con  Chagall e per il prossimo incontro d’eccezione ci diamo appuntamento a Settembre. 
Buona estate!
Leggero ed innamorato, timido e sognatore così è uscito dal pennello di Marc Chagall il giovane violinista che sembra eseguire le note di una serenata alla sua bella e invece il riferimento è alla sua  terra e alla condizione degli Ebrei nel mondo: una vita instabile come quella del musicista che deve suonare stando in equilibrio su un tetto. Marc Chagall pittore russo naturalizzato francese d’origine ebraica. I suoi dipinti sono ricchi di riferimenti alla sua infanzia e sono legati a un mondo fantastico, dove vige la logica delle favole e dove sono i colori, vivaci e brillanti, ad essere  utilizzati come mezzo per  comunicare felicità e ottimismo. Il mondo di Chagall era un caleidoscopio di colori, un universo di poesia,  intriso di una fantasia che richiama all’ingenuità infantile e alla fiaba. Ed è proprio rifacendomi ad una fiaba, che vi voglio raccontare di una ricetta, fatta di zucchero e latte, di mandorle e cioccolato, una nuvola di dolcezza dove ogni  bambino vorrebbe tuffarsi. 

BIANCOMANGIARE
ingredienti per 6 persone
150 gr amido
½ litro latte intero 
½ litro latte di mandorle
100 gr zucchero semolato
1 bacca di vaniglia
1 scorza di limone
mandorle  tostate
cioccolato fondente
cacao amaro

per le crespelle
ingredienti per circa 20 crespelle
 200 gr farina
3 uova
½ litro latte
olio d’oliva o burro

attrezzatura necessaria:
un padellino antiaderente di 16 cm
un pennello da cucina 

Iniziare la preparazione con le crespelle: aprire le uova in una terrina e lavorarle un poco con la frusta. Aggiungere poco alla volta, la farina setacciata alternata con  il latte per evitare i grumi. Mescolare fino ad ottenere una pastella perfettamente liscia ed omogenea. Farla riposare in frigo per circa un’ora.
Scaldare il padellino pennellarlo con pochissimo olio o burro, versarvi una piccola quantità di pastella e roteare rapidamente il padellino affinché la pastella si distribuisca uniformemente sul fondo formando un velo sottile. Fare asciugare la crespella a fuoco moderato, quando i bordi iniziano ad arricciarsi, rigirarla e farla asciugare dall’altra parte. Fare scivolare le crespelle sopra un piatto una sopra l’altra. Le crespelle così preparate possono conservarsi in frigo 5/6 giorni, oppure congelate, avendo cura di separarle l’una dall’altra con della carta forno.
In una pentola possibilmente antiaderente, a fuoco spento, sciogliere l’amido nei due tipi di latte, aggiungere la scorza del limone (solo il giallo) e la bacca di vaniglia, porre sul fornello e fare cuocere fino a quando si addensa, aggiungere lo zucchero, fare cuocere qualche altro minuto e togliere dal fuoco.
In una pirofila di ceramica, con il fondo leggermente bagnato, versare una parte di biancomangiare, sopra di esso fare uno strato di crespelle, uno strato di frutta secca tostata e macinata e uno strato di pezzi di cioccolato fondente. Ripetere l’operazione per tre o quattro strati, chiudere con la crema e uno strato uniforme di polvere di cacao amaro. Mettere in frigo per 5/6 ore  prima di servire.
Cecilia

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La forma del latte

Morbida, fresca, dolce, cremosa, di color bianco lucente. Di cosa stiamo parlando? Della ricotta naturalmente, la forma del latte (parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Andrea Camilleri), un cibo delizioso quanto semplice e naturale che ha il gusto dei pascoli e del latte appena munto e la sapienza antica di gesti tramandati da infinite generazioni. Un passato lontanissimo e tenacemente conservato da quella cultura materiale che è l’altra faccia della cultura alta (testimonianze letterarie e artistiche) e altrettanto indispensabile a ricostruire i modi e le ragioni dell’agire umano, cioè le faticose tappe del cammino dell’umanità.

La ricotta viene prodotta dal siero del latte che residua dalla lavorazione del formaggio ( è dunque un latticino non un formaggio!) attraverso una leggera acidificazione e cottura a circa 80 gradi (da qui il suo nome, ri-cotta cioè cotta due volte) e ha origini talmente antiche che si perdono nel mito. I Greci attribuivano infatti la sua scoperta ad Aristeo, figlio del dio Apollo e della bellissima ninfa Cirene, che dalle Muse apprese le arti dell’apicoltura, della coltivazione dell’ulivo e della lavorazione del latte. Nel corso dei secoli troviamo altre due rifondazioni del mito, una pagana e l’altra cristiana.

La più antica testimonianza letteraria della ricotta appartiene al IX canto dell’Odissea, dove Ulisse incontra Polifemo. Il celebre episodio è indissolubilmente legato all’astuzia di Ulisse, all’esaltazione delle sue capacità (Ulisse acceca il gigante e non gli rivela il suo vero nome, scampando così alla vendetta), ma se proviamo a invertire la prospettiva in questi versi giganteggia (è proprio il caso di dirlo!) la figura di Polifemo. Mostro orrendo e crudele, dotato di una straordinaria quanto distruttiva forza e per nulla somigliante, dice Omero, “alla stirpe che di pan si nutre”, Polifemo è il primo produttore di formaggi di cui resta memoria. Abitante solitario di una grotta vicina al mare, circondata da pini altissimi e ombrose querce, vive tra pecore e capre, conche e catini dove munge il latte, graticci dove conserva i formaggi. Qui Ulisse, senza ascoltare il suggerimento dei prudenti compagni, che lo esortavano a raggiungere in fretta le navi prima che il mostro rientrasse, si ferma a mangiare del “rappreso latte”, cioè della incantevole e golosa ricotta.

Più avanti, nel mondo latino, latticini e formaggi escono dalla letteratura per entrare nella trattatistica, con opere dedicate all’agricoltura, all’allevamento degli armenti e alla pastorizia, mentre un canestro di ricotta risplende su uno sfondo azzurrissimo nella pittura parietale del tempio di Iside a Pompei.

A lungo la ricotta, per le qualità nutrizionali e il basso costo, fu considerata un alimento povero. Basti pensare che ancora nei primi anni del secolo scorso i pastori della campagna romana – il Lazio è tra i grandi produttori di latticini e di formaggi – ricevevano come compenso una lira e cinquanta centesimi al giorno insieme a pane, polenta, ricotta e sale. Nella società antica e medievale sui latticini e più in generale sui formaggi, come osserva lo storico Massimo Montanari, pesava infatti il pregiudizio verso l’alimento latte, che era collegato all’idea d’infanzia e, per estensione, a quella della barbarie. Insomma i consumatori di latte erano considerati dei primitivi, eredi di quella società pastorale che consumava cibi forniti dalla natura, mentre gli evoluti erano i rappresentanti di una società agricola che utilizzava cibi inventati dall’uomo a partire dai prodotti naturali (ad es. il pane e il vino). Naturalmente la linea di demarcazione passava tra chi poteva spendere per nutrirsi e chi a stento aveva di che sopravvivere. Per i primi i derivati del latte erano tutt’al più un “ornamento delle tavole”, cioè uno dei tanti ingredienti di vivande elaborate, per gli altri una fonte primaria di nutrizione.

È durante il Medio Evo che si avviò il lento processo di nobilitazione dei derivati del latte, grazie alle istituzioni monastiche che continuarono a produrre latticini e formaggi. È in questo contesto che avviene la seconda rifondazione, questa volta cristiana. Protagonista non è più il mitico e ottuso gigante omerico, ma San Francesco che, giunto nel Lazio per organizzare una rappresentazione vivente della nascita di Gesù, avrebbe insegnato ai pastori l’arte di produrre la ricotta. La leggenda, ingentilita dalla presenza del santo della fraternità dell’umiltà e della povertà, fissa dunque nell’immaginario il ruolo che i monaci ebbero durante il Medio Evo: non solo depositari della cultura classica, di cui continuavano instancabilmente a trascrivere e quindi conservare le opere, ma anche delle tecniche della produzione casearia.

Col tempo e soprattutto grazie alla grande creatività della cucina italiana, che ha valorizzato alimenti considerati marginali e inventato accostamenti inediti e talvolta felicemente arditi, la ricotta ha conquistato un ruolo di vera protagonista in cucina e sulla tavola, perché duttile, versatile e generosa. La ricotta infatti può essere ricavata dal latte di vacca, di pecora, di capra, di bufala – con relative lievi variazioni nella consistenza e nel gusto – può essere fresca, stagionata, infornata, affumicata, speziata. La si può mangiare così com’è, magari con una spolverata di zucchero o, meglio ancora, accompagnata da un colata di miele. A proposito di questa ghiottoneria racconta Giorgio Vasari, il primo storico dell’arte italiana con le sue cinquecentesche Vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, un aneddoto riferito al grande Giotto. Ancora ragazzo, mentre badava al gregge, con una pietra appuntita disegnò una pecora su una “lastra piana e pulita”. Il caso volle che proprio allora passasse di lì Cimabue, pittore di grande fama, che si fermò ad ammirare quella figura incisa e subito, riconoscendone il genio, invitò il giovane pastore ad apprendere l’arte della pittura nella sua bottega. Leggendario incontro al quale qualcuno ha aggiunto un particolare ancora più leggendario: Giotto avrebbe offerto a quello sconosciuto di passaggio il suo pasto, della ricotta addolcita con il miele. Che sia vero o no questo fortuito incontro non conta molto e comunque ci piace credere a questa storia a lieto fine: l’intuito di Cimabue, il talento di un giovane pastore, il profilo realistico di una pecora e una ciotola di ricotta. Ingredienti questa volta non di una ricetta di cucina, ma di uno straordinario destino di artista.

Per la sua grande versatilità la ricotta si utilizza in cucina dagli antipasti ai dolci. La ricotta fresca si abbina infatti a tutti i colori e a tutti i sapori del mondo, perché non copre gli altri ingredienti, al contrario li esalta, li ammorbidisce, li lega. Discreta e generosa, ma sontuosa sempre, con il rosso del pomodoro dei cannelloni alla sorrentina, gli scrigni gialli dei ravioli, la morbidezza smeraldina degli spinaci o le sfumature malachite del cavolo nero dei toscanissimi gnudi (ravioli nudi, cioè senza il vestito di pasta), con il pallore della torta alle pere, l’oro e l’arancio dei canditi, il bruno del cioccolato, l’arcobaleno barocco della cassata siciliana. La ricotta stagionata cade invece come una nevicata di fiocchi saporosissimi sulla pasta alla Norma (un altro capolavoro, pari all’opera di Bellini che le ha dato il nome), sui fusilli alla bottarga di tonno dell’isola di Salina, sulle penne al pesto di pistacchi di Bronte.

Un’ultima curiosità prima di concludere. In molti paesi italiani si celebrano sagre legate a prodotti della gastronomia locale. Non sfugge a questo festoso omaggio popolare la ricotta e tra le sagre ad essa dedicate famosa è quella di Vizzini, il paese siciliano legato al nome e alla penna del grande Giovanni Verga. Inoltre in due località – Pietracatella, piccolo centro del Molise e Carlantino (Foggia) – si celebra una festa in onore della Madonna della ricotta. L’appellativo affettuoso attribuito a Maria, un modo di avvicinare il quotidiano all’eterno, è anche l’atto di devozione di chi doveva affrontare la transumanza, un viaggio che portava pastori e greggi verso il sud, dai pascoli estivi a quelli invernali, e che riservava incognite e pericoli.

Un esilio breve e con il ritorno certo, ma pur sempre un esilio. Così i pastori invocavano Maria a protezione e in segno di ringraziamento le offrivano la loro unica ricchezza, la ricotta.

Francesca Romana de’ Angelis

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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