La cucina da leggere

“Nella nostra città (Firenze) […] fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi (di modi bizzarri) […] Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in ciascuna cosa che far voleva, astuto e avvenevole (piacevole), chiamato Maso del Saggio, il quale, udendo alcune cose della semplicità di Calandrino, propose (decise) di voler prendere diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova cosa (qualche sciocchezza). […] E informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo, insieme incominciarono a ragionare delle virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un solenne gran lapidario (un grande esperto di pietre preziose). A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie (prestata attenzione), e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza (che non si trattava di un colloquio riservato), si congiunse con loro (si unì a loro), il che forte (molto) piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole (proseguendo il suo discorso), fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone (luogo immaginario) terra de’ baschi (abitanti delle zone nord-occidentali della Spagna che avevano fama di un popolo dalle bizzarre abitudini) in una contrada che si chiamava Bengodi (altro luogo immaginario), nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca a denaio e un papero giunta (per un denaro si poteva avere un’oca e, in aggiunta, un papero), e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni (gnocchi) e raviuoli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi (da qui, cioè dalla montagna di parmigiano), e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di Vernaccia, della miglior che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua.”

Inauguriamo con Boccaccio questo spazio – La cucina da leggere – dedicato al rapporto che da sempre lega cibo e letteratura. Tema della novella (Decameron, VIII, 3) è una beffa ordita ai danni di Calandrino, uno sciocco che si riteneva furbo, da parte di Maso del Saggio, uomo intelligente e incline alle burle, che vuole convincerlo dell’esistenza di una pietra magica che rende invisibili. La credulità di Calandrino non ha niente di ingenuo e di innocente (altrimenti non si tratterebbe di una burla, ma di un esercizio di crudeltà). Egli infatti converte subito in calcolo avido e meschino le informazioni ricevute: la pietra magica nella sua fantasia si trasforma in un’occasione di facile ricchezza. L’abilità verbale di Maso, che è alla base del suo gioco d’intelligenza, si esprime in una sorta di premessa rappresentata dal brano sopra riportato. Per rendere più credibile la sua invenzione delle pietre magiche, che è la sostanza della beffa, Maso fa balenare davanti agli occhi di Calandrino l’immagine di un paese dell’abbondanza e della ghiottoneria dove esistono montagne di formaggio, dove cuociono ravioli e gnocchi di cui ognuno può servirsi a piacimento e dove nei fiumi non scorre acqua ma vino. E’ Il paese di Bengodi, come lo chiama Boccaccio, detto anche nella tradizione letteraria il paese di Cuccagna. I due appellativi si sovrappongono nonostante le diverse etimologie ( composto di bene e godere il primo; da una voce germanica che indica dolciumi il secondo) e rappresentano il sogno di una società assediata dalla fame, dalla miseria, dalle carestie. Ma la letteratura non registra solo questa utopia gastronomica. Il cibo entra prepotentemente nella rappresentazione letteraria: dalle Sacre Scritture attraversa il mondo classico, la civiltà medievale, i fasti della società cortigiana per approdare, nel XIX secolo, alla cucina borghese. Attraverso le pagine degli scrittori potremo seguire il cibo come indicatore dell’identità socio-culturale, come spazio aperto allo scambio tra i popoli, come rappresentazione e descrizione di una realtà storica e geografica, come dimensione memoriale. Cibo dunque come documento, testimonianza ma anche come elemento di forte valenza metaforica. Quello che si mangia e come si mangia diventano così modi privilegiati per comprendere i valori di una società. Inseguiremo profumi, odori, ingredienti, curioseremo tra gli antichi ricettari, scopriremo i segreti dei grandi cuochi del passato e del presente, getteremo uno sguardo alle cucine domestiche, a quelle dei conventi medievali, ai monumentali banchetti cinquecenteschi, per arrivare alla qualità e alla rarefazione del cibo nei piatti della nouvelle cuisine e alla filosofia culinaria fusion. Dalla cornucopia di Poliziano ai capponi di Renzo, dall’uva moscatella di Pinocchio ai lupini di Verga, dalla madelaine di Proust al timballo di maccheroni del Gattopardo. Un viaggio goloso e ricco di tante sorprese!

Francesca Romana de’ Angelis

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