A fuoco lento, ricette per l’inclusione sociale

“vi segnaliamo”

Riportiamo una bella recensione, dal titolo “Menù a fuoco lento per condividere la vita”, apparsa sabato scorso sull’Osservatore Romano, a firma di Giulia Galeotti. Una (duplice) lettura da non perdere.
“Siamo bombardati, ormai, di cucina. Tra libri di ricette, programmi televisivi, riviste dedicate, personaggi tra i fornelli, rubriche, è una corsa a ostacoli. Salvo poi essere parimenti bombardati dalla gara tra suggerimenti ossessivi su quale sia il regime dietetico più facile, indolore ed efficace. Le prime posizioni delle classifiche di vendita dei libri in Italia restituiscono con inequivocabile chiarezza questo binomio, autenticamente schizofrenico. Eppure, tra il marasma di titoli e pubblicazioni, qualcosa di veramente appetitoso e salutare lo abbiamo individuato. È A fuoco lento. Storie di ordinaria disabilita, ricette per l’inclusione sociale (Milano, altreconomia edizioni, 2012, pagine 112, euro 8), libro a cura dell’associazione Come un albero onlus e di Solidarius Italia, che riporta ricette di vita e di cucina raccontate da familiari di persone affette da disabilità mentale. Le cuoche e narratrici sono tutte madri, tranne una sorella e un padre (autore della più semplice delle ricette, la pasta al tonno). L’idea è nata da un progetto volto a inserire in una rete di economia solidale il centro culturale Come un Albero di Roma, che dal 2004 si occupa di disabilità e inclusione sociale avendo come scopo primario quello di favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità intellettiva. Tra l’altro l’associazione ha, in via Alessandria, un centro culturale bello, curato e accogliente, dove è anche possibile svolgere eventi come presentazioni di libri, mostre, incontri tematici, laboratori e feste, di bambini e non. Ebbene, nel tentativo di favorire la tanto difficile “inclusione”, alcuni genitori sono stati invitati a preparare nella cucina del Centro una ricetta e a raccontare contestualmente la propria esperienza con i figli disabili; nella convinzione che partendo dal calore del cibo si è facilitati nel racconto, spartendo ricordi e dolori, momenti di felicità, desideri e partenze in salita. Gli incontri si concludevano poi consumando insieme quanto preparato. I temi affrontati dalle narratricicuoche sono, al contempo, simili e diversissimi. Pietanze speziate da momenti di crescita, percorsi scolastici, esperienze di socialità e qualche timido tentativo di lavoro: storie piene di vita, decisamente mai insipide, talvolta drammatiche, a tratti divertenti. Tra una teglia da imburrare, un tortino da farcire o la pasta da scolare, ci si racconta lutto e gioia, pace e lotta, coprendo tutti i momenti della vita. La fase della scoperta, del primo incontro, della consapevolezza della disabilità; la fase dell’assestamento, quando si inizia a mettere a fuoco il problema (spesso per nulla aiutati da chi ci circonda); la fase della crescita, ora armonica, ora disperata, ora a zig zag; la fase dell’età adulta, quando ti accorgi di dover iniziare tutto da capo nel tentativo di trovare un nuovo posto nel mondo al figlio disabile (e anche a te, mamma di figlio disabile); la fase, eterna e continua, della preoccupazione del dopo-di-me. A leggerle però, sono soprattutto storie condivise. Perché è la relazione il centro di tutto. Certo non manca la difficoltà. Non tanto la difficoltà personale e intima del genitore alle prese con un evento inatteso: quello che risulta è la difficoltà vissuta quotidianamente nel relazionarsi proprio con gli interlocutori in qualche modo deputati alla condivisione. Medici, insegnanti, religiosi, assistenti sociali. È lo scandalo dell’essere lasciati soli, degli inghippi burocratici, delle porte sbattute in faccia a scuola, di suore e presidi che non li vogliono, di medici incapaci. Non che manchino le suore e i presidi che li vogliono o i medici capacissimi, ma la cosa che veramente ferisce è l’assenza di un qualsiasi progetto al di fuori della famiglia. «È come se fosse più equo e giusto pensare ai diritti dei lavoratori del sud del mondo o dei produttori agricoli piuttosto che al diritto al lavoro delle persone con disabilità, tanto più se la disabilità in questione è di tipo intellettivo o relazionale», scrive Chiara Bonifazi nella postfazione, raccontando come, quando e perché la disabilità e l’economia solidale s’incontrano in cucina. Il progetto testimoniato da A fuoco lento, infatti, è quello dell’inserimento socio-occupazionale e lavorativo di persone con disabilità intellettiva e relazionale medio-lieve, nel tentativo di suggerire un altro modo di pensare i servizi per i disabili mentali, valorizzandoli e coinvolgendo il contesto. Rifiutando la logica assistenzialistica (che discrimina, impoverisce e isola) pur avendo chiaramente presenti le difficoltà di un mondo del lavoro aggressivo e competitivo, l’economia solidale può dunque offrire qualche spiraglio. Rimettendo al centro del lavoro le persone, prima del profitto”.
www.comeunalbero.org

 

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