Artusi premia la Cucina del buon gusto, omaggio al lato più umano della tavola

Cucinare è arte, lussuria e amore. Cucinare è compromesso e divertimento, fantasia e ritualità. “Cucinare ci rende più umani”. Parola (ed esperienza) di Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati, che nella Cucina del Buon Gusto Feltrinelli, febbraio 2012) attraverso ricette, racconti  e consigli pratici raccomandano un modo d’essere.  Avvocato minorile e famosa scrittrice di origini siciliane la prima, milanese e insegnante di cucina la seconda, entrambe le autrici si sono trasferite anni fa in Inghilterra e hanno scoperto nel cibo un potente veicolo culturale ed un efficace antidoto contro la nostalgia. Stella polare dell’opera,  il “maestro” Jean-Anthelme Brillant Savarin, personaggio pubblico della Francia a cavallo tra XVIII e XIX secolo, autore della Fisiologia del gusto. Meditazioni di gastronomia trascendente: un’illuminante raccolta di aforismi sulla tavola e i suoi piaceri. Hornby e Lazzati si muovono sulle sue orme, nel tentativo (riuscitissimo) di raccontare la forte continuità tra buon gusto in cucina e nella vita. Ciò è valso al libro il Premio Marietta ad honorem, riconoscimento della Festa Artusiana (Forlimpopoli 16-24 giugno) che verrà consegnato alla scrittrice siciliana domenica prossima.
La Cucina del buon gusto, più saggio filosofico che manuale di ricette, si apre con una domanda: che senso ha oggi continuare ad affaticarsi ai fornelli, dal momento che quasi tutte le tasche, possono permettersi ottimi piatti pronti? Poetica la risposta: “Cucinare è il legame benefico con la natura attraverso la scelta e la preparazione degli ingredienti”. È il legame con la Storia, quella familiare delle tradizioni gastronomiche tramandate per generazioni e quella dell’Uomo, unico tra gli esseri viventi che possiede “l’antica abilità di trasformare gli ingredienti in cibo”. Tra i capitoli più belli, quello conclusivo, in cui Lazzati racconta  la celebrazione della memoria di zia Maria, a  cent’anni dalla sua nascita e a trenta dalla sua morte, un grande pranzo di famiglia in cui tutti coloro che si sono nutriti alla tavola dell’amata antenata, hanno preparato e condiviso i suoi piatti preferiti.
Mangiare è quindi è un rito gioioso che moltiplica il suo piacere in compagnia e rafforza relazioni e affetti, ma che, al contempo, va rispettato anche in solitudine. Commoventi le pagine in cui Hornby racconta come ha imparato a trasformare l’angoscia che accompagnava i suoi pasti, una volta rimasta sola dall’oggi al domani, in autentico piacere per un tempo “proprio”, fatto di coccole e lussi : “Quando siamo in tanti compro cibo buono, ma economico. Da sola invece posso viziarmi e mi invento piccoli progetti culinari”. Questa è una delle tante regole che puntellano l’opera: non riservare piatti, posate o cibi migliori per gli altri, ma goderne noi per primi. E ancora: non esagerare mai nel mangiare o nell’offrire (il piacere del gusto si accompagna sempre alla moderazione) e non invitare mai chi non amiamo. Divertenti le osservazioni sul vertiginoso aumento di allergie e intolleranze, spesso sbandierate o imposte con poca eleganza e tanto fastidio per cuochi e commensali e provocatoria la rivendicazione del diritto/dovere di nutrirsi senza remore con quanto la natura, con un atto d’amore, mette a nostra disposizione: piante e animali.  Emblematico infine dell’intera opera l’elogio della minestra, a firma Lazzati. La minestra è un “moltiplicatore di esistenze” laddove raccoglie tutti intorno a una zuppiera fumante, li avvolge con il proprio profumo, all’occorrenza può essere allungata, variata all’infinito, riproposta con successo anche il giorno successivo, quando è addirittura migliore.  
www.festartusiana.it
Silvia Gusmano

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