Dove compro (se compro)

cosa, quando, quanto, perché, fatto da chi, fatto come, fatto dove: sono le domande che il consumo critico ci propone/impone prima di ogni acquisto.
Rajendra Pachauri, coordinatore dell’organismo dell’Onu Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), premio Nobel 2007 per la Pace per aver reso il cambiamento climatico un’emergenza da tutti percepita, esorta: «Per aiutare il clima, ricordiamoci di non comprare qualcosa semplicemente perché è in vendita ma solo se ne abbiamo davvero bisogno».
Ma c’è un’ulteriore domanda che sarebbe utile farsi: «Da chi comprare? ». Ecco una classifica, dal peggio al meglio.
1) Centri commerciali. Riconosciuti templi del consumismo annoiato, terminali di un eccesso di produzione e consumi, fabbriche di creazione dei sogni, hanno anche impatti ambientali diretti legati alla loro “fisicità”. Sono “grosse opere”, fungazioni che cementificano sempre più territorio. Hanno costi energetici altissimi, con i loro enormi spazi a clima artificiale tutto l’anno, bolle di aria condizionata sparata e riscaldamenti altrettanto folli.
2) Supermercati alimentari o catene del bio. Non permettono – a differenza dei mercati a bancarelle – di comprare verdura e ortaggi sfusi, mettendoli in borse portate da casa. Azione possibile: chiedere che tengano prodotti alla spina come detersivi, cosmetici, pasta e legumi.
3) Negozi di quartiere. Quasi spazzati via dei centri commerciali, il loro rilancio è raccomandato dai fautori della decrescita.
5) Botteghe del commercio equo. Raccomandabili per il “prodotto” in vendita, sono in genere attente anche alla faccenda “plastica usa e getta” e all’ecologia dell’abitare. Magari, possiamo evitare gli acquisti inutili, di frutti tropicali e di “prendipolvere”…
6) Bancarelle. Dal punto di vista energetico ed edilizio i mercati all’aperto sono i meno impattanti. Non c’è costruzione perenne, non c’è aria condizionata né riscaldamento, non c’è in genere illuminazione perché sono mattutini. Ma, anche al mercato, occorre evitare gli abiti nuovi a pochi soldi, frutto di sfruttamento del lavoro e dell’ambiente; i cibi provenienti da lontano; gli shopper di plastica.
7) Bancarelle dei produttori. Ormai diversi mercati rionali hanno spazi assegnati alla vendita diretta. Si accorcia il circuito e si paga a chi direttamente ha lavorato per fare il prodotto.
8) Bancarelle dell’usato (abiti, mobili, ecc). Come sopra quanto alla “leggerezza” edilizia ed energetica della struttura. Molto meglio delle precedenti quanto a “contenuto”: l’usato è l’eterno ritorno, la lunga durata ne ammortizza l’impronta ecologica.
9) Bancarelle dell’usato solidale (Emmaus, Mani tese). Uniscono tutte le virtù dell’equità ecologica: leggerezza della struttura, leggerezza del prodotto (vedi sopra) e solidarietà nella destinazione del proventi.
10) Produttori tramite gruppi d’acquisto. Comprare direttamente dal produttore è cosa buona pulita e giusta… se non dobbiamo fare lunghi tragitti individuali in auto per scovarlo. Un buon modo sono i gruppi d’acquisto (Gas) di alimenti, prodotti per l’igiene, perfino pannelli solari.
Marinella Correggia
* pubblicato su www.adistaonline.it

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