La Frittura, dalla rubrica food&wine di espressonline

A suggerire un vademecum per una frittura doce sono l’oleologo Luigi Caricato e lo chef Giuseppe Capano che, nel libro Friggere bene (ed. Tecniche Nuove, pp. 144, euro 8,90), sfatano punto per punto tutti i pregiudizi sul tema e suggeriscono ricette da friggitrice e padella.
La frittura più affidabile, a giudizio degli autori, è quella casalinga, a patto però che la si esegua osservando tutti i passaggi scaccia brutte sorprese. Seguono nella mini classifica le fritture industriali, anche se qui il limite sta nell’impiego prevalente di oli di semi, meno adatti alle alte temperature. Al terzo posto si collocano le fritture praticate nella maggior parte dei ristoranti, rei – afferma Luigi Caricato – del malcostume del riutilizzo esasperato degli oli, quando sono da considerarsi a tutti gli effetti esausti e possono sviluppare tossine. Sarebbe perciò molto utile – suggerisce – sensibilizzare i ristoratori alle tecnologie alimentari, così da non commettere più errori nella scelta dei liquidi da frittura.
Il top, secondo l’oleologo, è friggere con l’olio extravergine d’oliva perché ha una migliore resistenza alle alte temperature e più antiossidanti che fanno la differenza. Poi l’olio d’oliva, e dopo i grassi animali: strutto e burro. La ‘crosticina’ tanto gustosa, si legge nel volumetto, è un buon salvacondotto anti-colesterolo: evita ai grassi di cottura di impregnare il cibo. Ecco perché la frittura non croccante, oltre che meno piacevole in bocca, è anche più pesante. Importanti anche i tempi ai fornelli: “Un fritto è paradossalmente più sano di un ragù – sostiene Caricato – perché questo condimento è sottoposto a temperature estreme per un periodo maggiore”.
Friggere correttamente – cioè con olio di qualità e cambiandolo spesso – fa bene alla salute conclude Caricato, nell’osservare che ciò può comportare una lieve maggiorazione dei costi, ma la buona salute è un investimento sul futuro da non sottovalutare e, nel caso dei ristoranti, un modo di fidelizzare la clientela.
A parte però le cattive abitudini, noi italiani siamo maestri della frittura, tanto che anche la famosa tempura – importata dal Sol Levante – sarebbe stata insegnata ai giapponesi dai nostrani monaci gesuiti: deriva infatti dal latino tèmpora, ossia il tempo quaresimale. Nel periodo cioè in cui non si potevano mangiare carni né utilizzare grassi animali in cottura, si era trovato un modo per cucinare in modo gustoso continuando a mangiare ‘di magro’, immergendo pezzetti di pesce e verdure in diverse pastelle – farina, rosso d´uovo, acqua ghiacciata, vino bianco, birra – e cuocendo in abbondante extravergine bollente.
Ottima per il palato, la frittura è però il terrore per i forzati delle diete dimagranti e per i salutisti. Allora? Evitarla del tutto? “Non va demonizzata, basta farne un uso moderato – rassicura il medico nutrizionista Pierluigi Rossi – perché come dice un vecchio adagio è la dose che fa il veleno. Se piace, allora una volta ogni tanto concedersi un sano fritto non è così grave. Basta scegliere l’ olio giusto: al primo posto l’extravergine che ha un elevatissimo punto di fumo (ossia il grado in cui l’olio passa dallo stato liquido al gassoso producendo i dannosi perossidi e radicali liberi); poi quelli di semi, ma sempre monoseme, in primis di vinacciolo e poi di arachidi”. Un suggerimento per una migliore digeribilità? Qualche goccia di limone. Lo si fa per il gusto – dice Rossi – ma ha anche una funzione importante: l’acido citrico aiuta a depotenziare le molecole tossiche che si formano in frittura.

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