Tempura…che frittura!

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Anche chi è troppo antiquato per apprezzare sushi, sashimi e altre prelibatezze nipponiche a base di pesce crudo, non può non apprezzare un bel piatto di tempura. È la magia del fritto: rende tutto buono. E in questo caso, accorcia distanze geografiche e culturali considerevoli, per regalarci l’illusione che in fondo la cucina giapponese non sia troppo diversa dalla nostra. Piatto a base di frittura di gamberi, calamari o verdure, la tempura infatti ricorda tanto certe sportine di pastellati servite per antipasto in quasi tutte le trattorie d’Italia. Eppure è molto diversa. La sua particolarità consiste, oltre che in una maggiore leggerezza, in una coltre di sottilissimi ricciolini croccanti che rendono il fritto più gustoso che mai. Il segreto? Lo shock termico e qualche grumo di troppo. Confrontando le ricette, si scopre infatti che gli ingredienti base della pastella son sempre gli stessi (acqua, uova e farina), ma gli chef di Tokyo mescolano il tutto in una ciotola immersa in cubetti di ghiaccio e non si preoccupano di ottenere un impasto troppo omogeneo, lasciando qua e là qualche grumo di farina. Usano inoltre sempre acqua frizzante, accorgimento che tuttavia si trova anche in alcune delle nostre ricette. Il contrasto tra la pastella gelata e l’olio a 180 gradi dona al fritto quel non so che di brioso che manca ai nostri calamari. A ben vedere però anche di questo segreto possiamo prenderci un po’ il merito. Pare infatti che il nome ‘tempura’ provenga dalla dicitura cristiana ‘quattro tempora’ e fa riferimento ai tre giorni iniziali di ogni stagione quando i missionari gesuiti giunti in Giappone si astenevano dal mangiare carne, facendo evidentemente grandi scorpacciate di verdure e pesce fritti…

Silvia Gusmano

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