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Basta un clik e casa tua diventa ristorante

Trasformare talento e passione in lavoro, attraverso idee nuove e accattivanti. Non c’è ricetta migliore contro la crisi. A dimostrarlo i protagonisti delle hidden kitchen, cuochi dilettanti che di tanto in tanto trasformano casa propria in ristorante, invitando a cena buongustai (paganti) mai visti prima. Il fenomeno – noto come social eating – è nato in Usa diverso tempo fa e si è rapidamente diffuso in Europa e in Italia negli ultimi anni. Complice, naturalmente, la rete. Alla base, l’idea che chiunque lo desideri, possa condividere le proprie doti culinarie al di là della solita cerchia di amici e parenti, senza i rischi, la fatica e le responsabilità di avviare una vera e propria attività di ristorazione. I tempi e i modi dei “secret restaurants”, sono assolutamente liberi: più volte a settimana, pochi eventi all’anno, o solo una tantum. Generalmente sull’idea del guadagno prevale la filosofia dell’ospitalità e dello scambio culturale, con un’attenzione particolare agli ospiti “stranieri”, che vengono messi a parte di tradizioni e segreti gastronomici da intenditori. E in Italia, ovviamente lo straniero può venire anche dalla regione o dalla contrada confinante. Homefood.it, la prima esperienza nazionale sul genere, nasce a Bologna addirittura come associazione no profit (patrocinata dal Ministero delle Politiche agricole), dove le “Cesarine”, maghe dei fornelli e custodi di antichi ricettari nostrani, invitano sconosciuti alla propria tavola per pura generosità. Con la crisi però i seguaci del “supper club” si evolvono e anche se ritengono ancora poco elegante parlare di “conto” a fine pasto, prevedono quasi sempre delle cosiddette donazioni che vanno al di là del semplice rimborso spese. A fare da apripista come al solito Milano, con il Ma’Hidden Kitchen Supper Club (www.mahkse), sito tutto in inglese dove per prenotare una cena nella casa super fashion di Melissa e Lele, coppia vincente in cucina e nella vita, bisogna scalare una lista d’attesa lunga mille persone. Top secret l’indirizzo, sino alla vigilia della cena. Sono solo due appuntamenti a settimana, d’altronde, per un massimo di otto commensali. È una regola che ritorna questa: tavolate uniche e “intime” dove oltre al cibo si condividono chiacchiere e svago. Il desiderio di incontrare nuove persone non è secondario a quello di mangiar bene, insomma. Per rendersene conto basta fare un giro su www.gnammo.com, la piattaforma di social eating più accreditata in Italia (10000 iscritti), su cui, previa registrazione, chiunque può promuovere un evento gastronomico e, appunto, “sociale”. Basta avere il pollice culinario e un’idea originale (come i menù tematici di Madama Ricetta!) o la disponibilità di una bella location (una casa con giardino per inaugurare l’estate, un terrazzo panoramico per attirare i turisti etc…). E il gioco è fatto. Sull’homepage numerosissime offerte in tutta Italia, con prezzo e data in bella vista. Grande fermento poi in questi giorni, grazie al progetto Digital Food Days, promosso proprio da Gnammo, fino al 19 maggio. Si tratta di un’iniziativa, costola del Digital Festival, che intende promuovere e approfondire il felice rapporto tra cultura digitale e cultura gastronomico, foriero di tante innovazioni. Sempre naturalmente partendo dalla tavola…
Silvia Gusmano

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Tra opera letteraria e ricettario: l’attualità del Quattrova a 80 anni dalla sua uscita


Quattro uova, quattro uova, cosa prepariamo con quattro uova? Un ciambellone particolarmente ricco, una frittatina ai carciofi che faccia bella mostra di sé sulla tavola della colazione di Pasqua, delle fettuccine per celebrare quei bei porcini che ci hanno regalato… Alle versatili proprietà e alle mille virtù di questo ingrediente è dedicata una piccola gemma editoriale uscita in Italia nel 1931 con il curioso titolo La cucina elegante ovvero il Quattrova illustrato. Al posto dell’autore compaiono delle iniziali, E.V., che cinque anni più tardi, quando uscirà Il Quattrova raddoppiato, si scioglieranno in un nome, Emma Vanzetti, peraltro ignoto nel mondo della letteratura gastronomica e sulla cui reale esistenza sarà forse lecito al lettore nutrire qualche dubbio. A sostegno di questa operazione si schierò un nutrito plotone di nomi illustri, a cominciare da Piero Gadda Conti (cugino dell’autore del Pasticciaccio), che allestì per il volumetto una prefazione che si apre con la combattiva dichiarazione: «Mangiare è una cosa seria. Lettore, se non sei compreso della verità e dell’importanza, veramente vitale, di questa solenne affermazione, ti compiango: questo libro non è per te». Come spesso accade con i bei libri (o le belle riviste) di cucina, il Quattrova invita a farsi sfogliare e leggere anche senza l’intenzione di metterne in pratica le ricette e le indicazioni. Arricchito da trentadue incantevoli disegni stilizzati di Giò Ponti e di Tomaso Buzzi, presenta tuttavia molti piatti ancora perfettamente realizzabili e molti suggerimenti assolutamente sensati, come la tirata contro gli eccessivi antipasti freddi, che vanno a detrimento della riuscita del resto del pasto – tema caro a tanti autori di trattati gastronomici, fin da Rajberti e dall’Artusi –, una bella rivalutazione del salutare e innovativo “crudismo vegetale” propagandato in quegli anni dal duca Alliata di Salaparuta, e un’aperta presa di posizione, in un ideale confronto tra tradizione e presente, in favore del “magnifico buon senso moderno” che è logico, parco e misurato: “stiamo con Marinetti e poca pastasciutta, signore e signorine, pochi dolci, non bevete durante i pasti”. Il Quattrova, di cui Guido Piovene scrisse: “questo è il più bel libro uscito finora in Italia nel 1931”, è stato ristampato alcune volte nel corso del Novecento, ma è ormai introvabile e sarebbe bello se qualche editore pensasse di rimetterlo in circolazione. Guardiamo le singolari immagini di cuoche di fantasia – dalla cuoca letterata alla cuoca collerica, alla cuoca angelica – e vorremmo anche noi essere come Zefirina, la cuoca veloce, pronta a soddisfare gli ospiti inattesi. E ci sentiamo a volte come Remigia, la cuoca letterata, intenta a montare gli albumi immersa nella lettura di un libro tenuto in equilibrio sulle gambe. O come Filina, la cuoca acrobata, che annaspa tra imbuti e casseruole cercando di mettere insieme un paio di ricette appetitose entro l’ora di cena. E condividiamo la gioiosa sicurezza con cui l’autrice dichiara: «noi in cucina, sicuro, facciamo dell’arte». E come darle torto?
Marta Pensi

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Milano “da mangiare” batte Roma 10 a 0


Si sa, tra romani e milanesi, a pelle, non c’è un grande feeling. Luoghi comuni e plateali, innegabili differenze – dall’accento allo stile di vita – alimentano una storica competizione. Come sempre però, quando si guarda da vicino a ciò che solitamente si è osservato con diffidenza dall’alto al basso (o viceversa), la prospettiva cambia. Da romana doc che ha la fortuna di avere dei cari amici “lassù”, posso dire che non solo Milano è una città bella, accogliente e piena di sorprese, ma che, almeno a tavola, batte la capitale dieci a zero. E per sostenere questa tesi che “quaggiù” ha suscitato grande scalpore, vi cito quattro posti, molto carini,  dove per circa 30 euro a persona, ho mangiato davvero bene, al riparo dalle sòle che aihmè sempre più spesso ti rifilano all’ombra del Cupolone. Iniziamo con due proposte per il brunch domenicale, piacevolissima tradizione meneghina che a Roma stenta ancora ad affermarsi:
– il ristorante con orto Erba Brusca, al confine tra città e campagna, lungo il Naviglio Pavese. E’ una vera e propria oasi, l’ideale nella bella stagione quando si può mangiare accanto all’orto e godere dell’ombra del pergolato, ma piacevolissima anche d’inverno grazie a un allestimento interno originale nella sua semplicità e molto rilassante. Da provare la zuppa di fave, la ricottina fresca,  l’hamburger di fassone con patate rustiche e tutti i dolci!
– la Cantina della Vetra, con vista, grazie alle ampie vetrate, sulla basilica di San Lorenzo alle Colonne. All’ora del brunch, colpiscono il visitatore, oltre ai suggestivi arredi fine Ottocento di matrice rurale, i fantasiosi e ricchi buffet di affettati, formaggi e dolci. Buoni quanto belli d’aspetto.
– la trattoria Madonnina, nella tranquilla zona di Porta Ticinese, ma a due passi dal Naviglio Grande per un dopocena come si conviene a un weekend milanese con i fiocchi. Anche qui l’estetica del locale – a conduzione familiare – si sposa perfettamente con il gusto: pieni voti a entrambi. I piatti sono quelli tipici della cucina lombarda. Memorabili la cotoletta e l’osso buco…
– Nobile bistro de Milan, ristorante e caffè in corso Venezia da abbinare a una visita alla suggestiva Villa Necchi Campiglio. Vincente la filosofia di base: “Chi ha detto che per mangiar bene è necessario spendere tanto?”. Ne consegue che a pranzo, oltre ad alcuni piatti particolari come i Testaroli di Pontremoli (ottimi), la Garfagnana o il riso nero con bocconcini di pollo, viene offerta anche una ricca scelta di panini e insalate, tutti con materie prime doc. La sera, invece, spazio alla cucina più ricercata di Claudio Sadler, chef a due stelle Michelin.
Qualcuno sa consigliarmi altrettanti posti su Roma con le stesse caratteristiche?
Silvia Gusmano

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La cuoca (appassionata e coraggiosa) del Presidente


Non poteva mancare su Madama Ricetta, una recensione de “La cuoca del Presidente”, elegante commedia francese – uscita venerdì scorso in Italia – che racconta la storia rivisitata di Danièle Delpeuch, chef personale di Mitterand tra l”88 e il ’90. Il film, che dal punto di vista della trama non sviluppa appieno gli spunti di una vicenda originale e intrigante, risulta piacevole  e ben congegnato sotto molteplici altri punti di vista. Catherine Frot, l’attrice che interpreta il personaggio di Daniéle (Hortense Laborie), è perfetta nel ruolo di donna combattiva e appassionata, senza fronzoli come la sua cucina. Catapultata da un giorno all’altro negli ambienti austeri dell’Eliseo, impara presto a tener testa alle invidie dello chef ufficiale e del suo staff (tutto maschile, naturalmente), alle inutili complicazioni di un cerimoniale ingessato, ai medici di Mitterand che mettono bocca su ogni pietanza dei suoi menu. E, al contempo, nelle rare occasioni di incontro, dopo averlo conquistato con le sue ricette, Hortense guadagna la stima del vecchio presidente, che per condividere con lei il piacere di una tartina al tartufo, accompagnata da un bicchiere di vino, scende nottetempo in cucina e si accomoda accanto ai fornelli. “Mi sa che le danno vita difficile, in questo periodo…anche a me!”, confessa in quell’occasione Mitterand alla sua cuoca con tono complice e paterno. Nella parte ambientata a Parigi, la pellicola comprende molte scene girate realmente all’Eliseo. Efficace il contrasto con la base artica, dove il film si apre e dove Hortense lavora per un anno – o meglio trova rifugio – dopo l’estenuante “esperienza presidenziale” da cui a sorpresa esce sconfitta. Lì, fuori dal mondo, è nuovamente a suo agio, amata e rispettata dai lavoratori (di nuovo, tutti uomini) cui allevia le giornate con pasti a cinque stelle. Le immagini delle pietanze, le inquadrature sui fornelli, l’attenzione ai dettagli della sublime arte culinaria di Hortense, sono il piatto forte del film, un vero e proprio inno al valore di una cucina vissuta con amore e coraggio. 
Silvia Gusmano

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Venezia: lo spuntino doc dei “zemei”

Voler fare uno spuntino a Venezia crea un certo stato d’ansia. I bar si susseguono a decine in ogni calle, ma le cibarie troppo colorate messe in mostra in vetrina ricordano per lo più quei panini di gomma che usano i bambini per giocare. In alternativa locali lussuosi con camerieri in guanti bianchi promettono stangate memorabili. Con grande gioia, quindi, abbiamo scovato sabato scorso, tra la casa di Goldoni e Rialto, l’Ostaria dai Zemei (San Polo, Ruga Vecchia di San Giovanni 1045), locale piccolo, ma accogliente, con i tavolini fuori e un bancone “artistico”, composto da panini, paninetti e crostini d’ogni genere, con abbinamenti riuscitissimi: lardo e rucola, baccalà, radicchio e alici; caprino e bresaola; petto d’oca con olio tartufato; ventricina piccante, spuma di tonno, pomodorini e pinoli. E ancora: culatello cotto alla brace, speck, salame in più varianti e diversi tipi di pesce. Ottimi inoltre i fritti: baccalà, polpettine di carne, di tonno o di melanzane, mozzarella in carrozza, fiori di zucca. Sulla parete tutta in legno, all’interno, una bellissima riproduzione de “Il miracolo della Reliquia della Croce” di Vittore Carpaccio, ma sinceramente la si nota solo in un secondo momento: il colpo d’occhio iniziale è tutto per il bancone…I “zemei”, Giovanni e Franco, consigliano i vini da abbinare, ma se si viene da una regione più al sud del Veneto, lo spritz è d’obbligo. A qualsiasi ora. Onesta la spesa e allegro l’ambiente, un giusto mix di locali e turisti “fortunati” o ben consigliati.
Silvia Gusmano
 
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Un Pic Nic di Lusso

E’ stato “Un Pic Nic di Lusso” in tutti i sensi. MadamaRicetta non poteva mancare e le sue impressioni stavolta non sono del tutto positive. Grandi cuochi è vero, ma anche grandi prezzi. La prima perplessità all’accoglienza: ingresso 16 euro, una cifra eccessiva per degli assaggi tutti a pagamento. Una volta entrati, se si vuol mangiare, è necessario acquistare una card ricaricabile con multipli di 5 euro (quindi se ne spendi 16 se costretto a buttarne 4).
Taste of Roma, manifestazione enogastronomica, nata a Londra, ed esportata in altre città del mondo, nella sua versione romana, presso i Giardini Pensili dell’Auditorium Parco della Musica, ha lasciato qualche dubbio sull’allestimento, e non solo. Progettata più per gli organizzatori che per i visitatori, è stata soprattutto un via vai di domande, consigli, curiosità, dialoghi fitti e scambi di bigliettini tra chef, esperti e blogger.

Gli stand annunciati sulla promozione delle eccellenze laziali si potevano contare sulle dita di una mano. Le pochissime zone (due) dove si poteva partecipare ai corsi di cucina, erano precedute da un lungo spot di Elettrolux (piastre ed elettrodomestici per la cucina, peraltro presente in ogni stand con la pubblicità dei suoi prodotti). Insomma gran parte del corso di cucina era assorbito da pubblicità live. Se si voleva partecipare ad uno dei corsi -più semplicemente alla preparazione di un piatto- era necessario arrivare entro le 19.30. Tre corsi per l’intera serata, moltiplicati per sole due postazioni che contenevano al massimo 15/20 persone.

Di contro i piatti non hanno deluso le aspettative di chi voleva fare un viaggio sensoriale attraverso creatività e fantasia della nouvelle couisine. Dalle rivisitazioni delle ricette classiche ai connubi azzardati e non sempre vincenti. Degustazioni e assaggi hanno rinfrancato i visitatori che per una sera si sono accostati alle ultime novità dell’arte culinaria. Salmone servito su un letto di gustosa salsa d’anguria, spiedino di gambero in pasta fillo con spuma di mortadella, tortellini di ricotta e spinaci con guancia al cesanese e clorofilla di rucola, capesante impanate e ripiene di mozzarella di bufala, foglie di sedano e tartufo nero,  insomma alta cucina.

Ma la fila più lunga indovinate dov’era? Davanti all’unico stand che faceva la carbonara…
Ivana Santomo

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Un Rifugio baby friendly nel cuore dell’Abruzzo


Scegliere il ristorante in base al parco giochi. Prima non mi era mai successo. Prima di essere mamma, naturalmente. Poi, tutto cambia, anche la scelta degli svaghi serali. Si, d’accodo, ogni tanto il piccolo si può mollare – non è mica un francobollo – ma non sempre è possibile, soprattutto in vacanza. E, allora, via con la ricerca dei ristoranti ‘baby friendly’, ossia dei locali dove clienti e camerieri non inorridiscono se tuo figlio di un anno e mezzo invoca ‘pappa’ a gran voce, infila la mano nel piatto e se la passa sulla maglietta, sputa un boccone troppo grosso, sbatte le posate sul piatto, poggia un piede sul tavolo e inevitabilmente dopo dieci minuti si lancia dal seggiolone e inizia a correre all’impazzata. Comprensibilmente non sono molti i ristoranti con queste prerogative di tolleranza e quando ne trovi uno a fine serata vorresti stringere calorosamente la mano al proprietario. A me è successo in Abruzzo, a Francavilla al Mare, meta di una vita in provincia di Chieti, dove quest’estate sono uscita a cena fuori con famiglia tre volte e sono tornata sempre nello stesso posto: il Rifugio di Diana. Prima, da non mamma, pensavo fosse un ristorante buono, ma un po’ troppo caotico: ora lo adoro. Se arrivi prima del tramonto, ti accolgono caprette e oche – con gran gioia dei bambini – e accanto all’ampia veranda dove si cena nella bella stagione, è allestito il parco giochi: scivoli e altalene in diverse taglie, biliardino, spazio a sufficienza per scalmanarsi. L’ultima volta, all’interno, avevano organizzato anche il karaoke e la confusione dei più piccoli è passata addirittura inosservata. Massimo relax dunque per i genitori e gran soddisfazione per i buongustai. Il ristorante è casereccio e con un buon rapporto qualità/prezzo (dai 20 ai 30 euro a persona), serve piatti tipici della cucina abruzzese, secondo la tradizione: infiniti antipasti freddi e caldi (ottimi i dadini di polenta con funghi e salsicce), pasta fatta in casa (da provare le pappardelle al cinghiale) e, ovviamente, arrosticini in gran quantità, qui presentati nella duplice versione normali ed “extralarge” (scontata la scelta). Nel complesso un invito (riuscito) al buon umore per tutte le pance.
Silvia Gusmano      

www.ristoranteilrifugiodidiana.com

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In caciaia

Buona cucina a Livorno. Ecco il ristorante che fa per voi: “in caciaia” di Rosario Costanzi.
Nello storico quartiere di Antignano, a due passi dagli scogli di Livorno, nella suggestiva piazzetta Castello trovate tavoli all’aperto posti davanti ad una grande lavagna, dove con gessetto bianco, sono elencati i piatti del giorno. Rosario vi accoglie con cortesia descrivendo qualche piatto e i pesci che è riuscito ad acquistare, in giornata, dai pescatori di Antignano e dalle pescherie del porto vecchio. La cucina e’ ottima, tipica della costa tirrenica e della tradizione livornese in particolare (pesce di scoglio e frutti di mare, cacciucco). Ma anche nelle pietanze ispirate ad altre regioni, lo chef non manca di stupire, come gli spaghetti alle acciughe e finocchietto selvatico. Ottimi anche i piatti con nuove contaminazioni come le cozze ripiene o gli gnocchi con cernia e zucchine. Per finire, delizioso il dolce di ricotta briaca al rum. Nonostante sia sempre pienissimo, il servizio è buono e veloce, i piatti variano tra i 10€ e 12€, se passate da Livorno fate una puntatina, ma non dimenticate di prenotare: come dice il suo nome il ristorante “in caciaia” è sempre un po’ affollato.
Ivana Santomo
TRATTORIA IN CACIAIA | V. BAGNI 38 – LIVORNO (LI) tel 0586 580403

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Plachutta

 
Non si può passare da Vienna e non andare da Plachutta, ormai  fa parte della città come il Stephansdom, il fascino antico della ruota panoramica del Prater o il bacio di Klimt. Io invece non lo conoscevo e ci ho sbattuto il naso. Ebbene sì! Avevamo detto niente guide, niente TripAdivisor, passeggiamo per la città e godiamoci il centro senza ossessionarci con: i posti consigliati, i luoghi da non perdere. Vienna è così bella che non ha bisogno di parole. I segni del perduto impero sono in ogni cosa, con particolare eleganza. Le sinfonie di Mozart, Schubert e Beethoven ti accompagnano attraverso strade e palazzi che conservano la magia delle epoche d’oro. Al contempo è una città giovane e briosa, dove tradizione e innovazione si mescolano. I locali pieni di viennesi che si godono il tempo libero, chiacchierando davanti ad un caffè ed una fetta delle deliziose torte viennesi.
Insomma, immersi in questa atmosfera e persi per le vie del centro, cercavamo un ristorantino. Arrivati davanti a Plachutta, ci ha incuriosito quell’andirivieni veloce dei camerieri, le bellissime pendole di rame fumanti, poggiate sui tavoli dei commensali e la loro espressione estasiata quando portavano il cibo in bocca. Giriamo l’angolo e davanti alla porta troviamo un gruppetto di persone in fila. La prenotazione era d’obbligo. Fissiamo per le 21, e torniamo a bighellonare per la città.
Due ore più tardi siamo pronti per la nostra esperienza culinaria. Entrando, dalle fotografie alle pareti, scopriamo che molti ospiti internazionali, tra cui numerose personalità della cultura, dell’economia, della politica e dello spettacolo, avevano visitato il ristorante. Ordiniamo il Tafelspitz, tipico piatto viennese, un bollito di manzo servito con salsine e patate, dei crostini di pane nero sui quali spalmare il midollo, ancora fumante, cotto nel brodo. Ci concentriamo sulla cena, quel pezzo di bollito tenero, succoso, saporito, non consente distrazioni. Alla fine gustando una fetta di sacher torte scopriamo che lo chef Plachutta, ormai di fama internazionale, è considerato il miglior ambasciatore della cucina unica viennese ed è autore del libro di cucina austriaca di maggior successo.
Gault Millau lo ha nominato chef dell’anno 1991 e solo un anno più tardi, nel 1992, gli ha assegnato tre cappelli. Nello stesso anno ha ricevuto la lettera “A” del “Gourmet Trophee” austriaco. Nel 1993, Ewald Plachutta si è guadagnato anche una stella Michelin.
Per una recensione, che dire: ottima qualità dei cibi, sia per le materie prime che per la cottura, grande cortesia e competenza del personale, prezzi tutt’altro che proibitivi, 30/35 €. Prenotazione obbligatoria.
Ivana Santomo
Plachutta Wollzeile
Wollzeile 38 – 1010 Wien
Tel.: 01/512 15 77

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Un PIC-NIC di lusso

Taste of Roma sbarca nella capitale. Dopo tre edizioni di grande successo a Milano, il festival enogastronomico che ha conquistato il mondo, dal 20 al 23 settembre arriverà sui giardini pensili dell’Auditorium Parco della Musica per deliziare gli ospiti con assaggi di alta cucina e vini prelibati. Per quattro giorni, il celebre Restaurant Festival, in versione romana, organizzerà corsi di arte culinaria e presenterà in oltre sessanta stand, produttori e aziende selezionati, con i loro migliori prodotti. I più acclamati chef dei ristoranti romani, animati dal desiderio di offrire una gastronomia d’eccellenza alla portata di tutti, usciranno inoltre dalle proprie cucine, stellate e non, per incontrare i fan, svelare segreti e ricette e, perché no, divertirsi esibendosi ai fornelli a cielo aperto! Si andrà dalla tradizionale cucina italiana, a quella tipica romana e regionale, con sconfinamenti nella cucina creativa e sperimentale. Il biglietto d’ingresso costerà 16 euro e comprenderà, oltre alle degustazioni di cibo e di vino, la partecipazione ai corsi di cucina e, soprattutto, nell’orario di pranzo e di cena,  la scelta di “una delle tre specialità che proporrà ogni ristorante, studiate in formato antipasto-assaggio” (taste appunto): i piatti maggiormente rappresentativi della filosofia culinaria di ciascun chef e delle tradizioni locali, con una spesa che andrà dai 4 ai 6 euro.
Questi i ristoranti selezionati: Acquolina Hostaria in Roma (chef: Giulio Terrinoni); Agata e Romeo (Agata Parisella); All’Oro (Riccardo Di Giacinto); Giuda Ballerino (Andrea Fusco); Glass Hostaria (Cristina Bowerman); Il Convivio Troiani (Angelo Troiani); Il Pagliaccio (Anthony Genovese); Imago – Hassler Hotel (Francesco Apreda); L’Arcangelo (Arcangelo Dandini); Magnolia – Jumeirah Grand Hotel (Kotaro Noda); Pipero al Rex (Luciano Monosilio). Undici nomi noti, cui si affiancherà uno a sorpresa.
Roma già palcoscenico internazionale per cinema, musica e cultura, diventerà così anche capitale del gusto e del buon convivio e come ha ricordato l’amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma, Carlo Fuortes, “l’augurio è che l’Auditorium, anche nei suoi bellissimi spazi all’aperto, si configuri sempre più come la Casa del Bello, in tutti i sensi e per tutti i sensi”.
Ivana Santomo

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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