menubò: la raccolta
A suon di rovesci


La cioccolata della discordia
Accapigliarsi per la cioccolata in una classe d’asilo. Niente di più normale…se a litigare fossero i bambini. Più preoccupante se sono le mamme. O meglio una mamma e la maestra, con pesanti ricadute su tanti altri adulti coinvolti. Questo il fatto: una vecchia suora che insegna da quarant’anni (e ha più energie del 90 per cento delle mamme moderne) tiene in classe un armadio pieno di leccornie (cioccolata compresa) con cui far contenti di tanto in tanto i bambini (di tre e quattro anni). Una mamma X, conoscendo tale abitudine, si permette di mandare a scuola (tramite la nonna) alcune uova pasquali aperte e non consumate da aggiungere al prezioso bottino. Una mamma Y, convinta che ciò attenti pericolosamente alla salute del suo bambino, non ci vede più dalla rabbia. Dopo una bella scenata in classe, manda al resto dei genitori una e-mail al vetriolo contro suora, mamma X e velatamente mamma Z (professione pediatra) intervenuta a sostegno della suora: un accorato appello contro gli zuccheri raffinati e la cioccolata di dubbia provenienza. La mamma X ribatte tranquillizzando le “colleghe” almeno sull’origine delle uova incriminate: “sono state conservate in luogo asciutto e sicuro”. Il giorno dopo all’entrata e all’uscita di scuola, bronci, occhiate furtive, bisbigli vari sulla vicenda, sguardi indagatori per capire le varie fazioni (pro suora/pro mamma Y). Due giorni dopo al saggio di fine anno, ancora tanta tensione in platea a disturbare orgoglio e commozione delle famiglie riunitesi al gran completo per ammirare le prodezze dei propri pargoli. Grande lezione per i bambini. Hanno imparato che la cioccolata è veleno (e di certo si d’ora in poi si asterranno dal mangiarne…), che le mamme predicano bene e razzolano male (proibito litigare da piccoli, ammesso da grandi), che anche la massima autorità – la maestra – può essere violentemente contestata e che è giusto perdere le staffe quando in ballo ci sono principi inviolabili (come la cioccolata). Una lezione a 5 stelle che li aiuterà ad affrontare meglio la vita.
Mamma Q

La signora delle Spezie
È iniziato tutto con la vaniglia. O meglio con l’intuizione geniale di una signora venuta da lontano: Edith Elise Jaomazava. Nata in Madagascar nel 1970 e giunta a Moncalieri (Torino) per seguire l’ex marito italiano nel ‘97, questa donna ha realizzato un connubio perfetto tra le ricchezze del suo luogo d’origine e le esigenze del suo nuovo paese. “All’inizio è stata molto dura – racconta –. Ero una negra in una città molto chiusa. Non trovavo lavoro se non come baby sitter e volevo qualcosa di più stimolante. Così ho fatto tesoro della mia esperienza familiare, un’esperienza lunga quattro generazioni: la coltivazione della vaniglia”. Edith vola in Madagascar, prende qualche chilo della preziosa spezia che in Italia si trovava quasi solo in versione sintetica e la rivende ad alcune pasticcerie di Torino. “E’ stato un successo – ricorda – e ho deciso di continuare”. In pochi mesi la neo-imprenditrice impara bene l’italiano, prende la patente, segue un corso di alimentazione, studia. E nel 2004 fonda SA.VA, azienda di import e commercializzazione di spezie che aumenta la sua offerta (e il suo fatturato) di anno in anno. Poco dopo apre anche un negozio nel centro di Torino (Atelier Madagascar) dove oggi vende quasi 40 tipi di spezie da tutto il mondo: dalla menta del Marocco alla kinoa del Perù. Nel 2010 è nominata Imprenditore Straniero dell’Anno nell’ambito del prestigioso Money Gram Award e oggi, nonostante risenta della crisi, continua a fare progetti in grande. La sua priorità è migliorare le condizioni di vita del Madagascar dove, già da anni, dà lavoro a decine di contadini (fino a 300 in alta stagione). La sua grinta e il suo ottimismo colpiscono, soprattutto quando racconta la donna che si nasconde dietro l’imprenditrice. Madre di quattro figli – di cui tre già adolescenti – che cresce da sola, Edith si descrive come una “selvaggia” che tutte le mattine, senza eccezioni, si ricarica correndo per chilometri in mezzo al verde e tutte le notti, messi a letto i figli, sacrifica parte el riposo al lavoro. La sera poi, quando può, si rifugia al Teatro dell’Opera, “dove la gente ancora mi guarda come fossi un extraterrestre”, mentre la domenica canta in Chiesa con gran soddisfazione (“sentono la mia voce, ma non mi vedono”). Descrive l’Italia come un paese accogliente, anche se “indietro anni luce, rispetto ad altri, Francia in primis”. Ciò che la fa arrabbiare, come a tutti gli imprenditori (e non solo), è la burocrazia italiana, le tasse che strozzano, le difficoltà ad avere finanziamenti. Ciò che la preoccupa, come a tutte le mamme, è il futuro che avranno i suoi figli in questo paese sempre in crisi. Ma sono preoccupazioni che tiene per sé… “per loro, infondo, è l’età dei sogni e delle speranze e poi sono certa che troveranno la propria strada, proprio come ho fatto io!”
Silvia Gusmano

La scuola pubblica nasce perché tutti abbiano le stesse opportunità
Il comune di Pomezia ha emesso in questi giorni un capitolato d’appalto per le mense scolastiche che prevede un menù economico (4 euro) che si ferma al secondo e uno più costoso (4,40 euro), che prevede il dolce a fine pasto. Al di là delle dichiarazioni strumentali del sindaco e le risposte degli avversari politici che entrambi tentano di sfruttare la vicenda nella campagna elettorale, la cosa che sorprende è che, come dichiara il sindaco, “E’ stata una decisione promossa e presa con i rappresentanti dei genitori”. Come è possibile? Sicuramente la storia recente e passata non ha insegnato molto a questi genitori. Eppure anche senza citare le discriminazioni vissute nelle grandi tragedie del ‘900, ci basta andare indietro di tre/quattro anni, ad Adro, un paesino nel bresciano dove le mamme sono insorte contro un imprenditore locale che aveva saldato il debito contratto da alcune famiglie del paese con la mensa della scuola. Debito che era costato l’esclusione di alcuni bambini dai pasti: bambini di un asilo comunale. Come dimenticare lo sguardo vuoto, le parole di quelle mamme, la freddezza dei loro occhi quando parlavano di questi bambini lasciati a pane e acqua, come se non fossero semplicemente bambini e compagni dei loro figli, ma solo immigrati. Non esseri indifesi, piccoli e dipendenti dagli adulti, ma solo figli di immigrati. Così a Pomezia, nella scuola pubblica ci sono i figli dei ricchi e i figli dei poveri, ma la scuola è cultura, ed è cultura pubblica e cosa significa bisognerebbe spiegarlo anche al primo cittadino. La scuola pubblica nasce per superare le disuguaglianze, che siano sociali o economiche, culturali o sessuali, tecnologiche o etnico-religiose. La scuola pubblica nasce perché tutti abbiano le stesse opportunità.
Ivana Santomo
…leggi la splendida lettera dell’imprenditore di Adro

A colpi di banana
Altro che frutto dell’amore. La povera banana diventa una clava in mano ai razzisti, una clava di moda negli stadi: lanciata, sbucciata, offerta a mo’ di insulto ai giocatori con la pelle scura, come si fa con le scimmie. Un simbolo potente che solo il gesto semplice, forte e carico di ironia del calciatore brasiliano Dani Alves poteva spogliare di ogni connotazione negativa. Come noto, infatti, il difensore del Barcellona, vedendo arrivare una banana dagli spalti subito prima di tirare di un calcio d’angolo, senza alcuna esitazione ha interrotto l’azione calcistica, ha raccolto il frutto e un batter baleno l’ha sbucciato e mangiato. Poi via con il calcio, alla palla e al razzismo. Che soddisfazione per chi infinite volte ha sperimentato impotenza e rabbia davanti a un exploit di razzismo! E che umiliazione per quei cervelli da gallina (ben più ottusi delle scimmie) che offrono simili spettacoli! In pochi secondi Dani li ha ridicolizzati, resi vittime della loro stessa inciviltà…più efficace di qualsiasi slogan, campagna sociale o punizione tentata sin qui. Simili episodi, infatti, non sono certo una novità. Da Neymar a Balotelli, da Roberto Carlos a Samuel Eto’o (per rimanere nella cerchia dei campioni), sono stati bersagliati a colpi di banana. E si sono, giustamente, arrabbiati, offesi, indignati. Dani invece ha scelto l’ronia e ha rispedito il colpo di banana al mittente. Una trovata geniale che ha fatto il giro del mondo. Sui social, in milioni di selfie, e in pose e imitazioni di decine di personaggi pubblici di ogni tipo. A cominciare ovviamente dal nostro Presidente del Consiglio che, quando si tratta di immagine, sta sempre sul pezzo. Anche il seguito ci è piacuito. Invitato a commentare il proprio gesto, Alves da una parte ha perdonato il suo aggressore, affermando che solo attraverso un’azione educativa incisiva si cambiano certi atteggiamenti, e dall’altra ha bacchettato duramente Spagna e Europa: “Pensano di essere tanto più evolute del Sud America – ha commentato – ma basta assitere a certi episodi per capire che non è così”. Come dargli torto?
Silvia Gusmano

Non è sempre tutta una bufala
Dei formaggi a pasta filata la mozzarella è regina indiscussa. Che sia di latte di bufala o di vacca, è uno dei prodotti più amati e caratteristici del made in Italy ed è nota in tutto il mondo.
Una produzione tipica del Sud Italia che sta subendo ferite profonde a causa delle frodi alimentari. A risentirne è principalmente la mozzarella di bufala, che recentemente ha ottenuto il riconoscimento DOP. La Mozzarella di Bufala DOP soggetta a limitazioni per area di produzione riconosciuta solo ad alcuni comuni nelle province di Caserta, Salerno, Napoli, Benevento, Avellino, Latina, Roma, Frosinone e Foggia, deve essere prodotta esclusivamente con latte fresco di bufala con procedimenti specifici di lavorazione. Un prodotto eccelso: cuore morbido, crosta sottilissima, sapore leggermente acidulo, si scioglie in bocca lasciando emozioni sensuali e avvolgenti.
L’ultimo colpo inferto alla nostra mozzarella di bufala ce lo regala il caseificio Cantile srl di Sparanise (Caserta). Secondo le indagini la mozzarella Cantile, venduta in importanti catene di distribuzione, soprattutto francesi, aveva subito delle adulterazioni alimentari. Il latte di bufala veniva, infatti, sistematicamente mischiato con il latte vaccino, scaduto e acquistato all’estero e spacciato come di bufala e ‘made in italy’, che aveva inoltre una carica batterica superiore di 2.000 volte rispetto al consentito, “tale da rendere il prodotto potenzialmente nocivo per la salute”. Il danno non è solo per i consumatori della mozzarella Cantile ma si ripercuote sui 1500 allevamenti impegnati a produrre latte di bufala nel rispetto delle regole della mozzarella di bufala campana Dop, e si ripercuotono anche l’immagine di un prodotto che vanta un fatturato di oltre 435 milioni di euro, di cui 71 milioni realizzati grazie alle esportazioni.
Il nostro patrimonio agroalimentare con le produzioni tipiche nazionali (ossia quelle con i marchi di qualità) costituisce il “fiore all’occhiello” nel portafoglio delle esportazioni, una ricchezza da preservare. Nonostante l’Italia si conferma al primo posto nella UE per livello di controlli sulla sicurezza alimentare c’è sicuramente bisogno di intensificare i controlli. Ma è proprio grazie alla nostra appartenenza all’UE e alle leggi comunitarie imposte dall’Europa che i prodotti del “made in italy” sono tra i più apprezzati nel mondo.
Ivana Santomo

Asparagi: la storia
Le prime tracce appartengono agli egizi, ma i Romani ne furono grandi consumatori, tanto ghiotti di asparagi da costruire delle navi apposite per andarli a raccogliere: le asparagus, imbarcazioni dedicate al trasporto di asparagi. Le prime pubblicazioni sull’asparago risalgono al 200 a.C. dove se ne descrivono minuziosamente sia la coltivazione che la preparazione. Ricette di Catone e Plinio che ne apprezzavano il gusto e ne descrivevano le proprietà officinali. L’asparago non è solo un contorno, ma un alimento molto versatile, protagonista in primi piatti come risotti, crepe, lasagne, minestre e zuppe; buonissimo nelle frittate, con l’uovo fritto o con le carni bianche.
Gli asparagi sono ortaggi piuttosto costosi perché hanno un alta percentuale di scarto (la parte legnosa va tagliata, e solo la parte tenera è utilizzata per la preparazione dei piatti), ma in tempi di crisi si recupera tutto. Possiamo, infatti, pulire gli asparagi tagliando l’estremità terrosa o legnosa, e preparare i germogli raschiando il gambo, legarli con del filo da cucina e lessarli o cuocerli al vapore. Scolati i germogli, per utilizzarli nella ricetta che avevamo scelto, lessiamo nella stessa acqua i gambi che avevamo scartato, precedentemente lavati e tagliati in piccoli pezzi, fino a che saranno ben cotti. Poi li passiamo con un passa verdure, aggiungendo man mano, un po’ di acqua di cottura. Mettiamo in una pentola mezza cipolla a soffriggere con 2/3 cucchiai d’olio, aggiungiamo due patate a cubetti e la crema di asparagi ottenuta con i gambi, facciamo cuocere una decina di minuti. Frulliamo con un frullatore a immersione, regoliamo di sale e pepe. Questa è un ottima vellutata da servire con crostini di pane e scaglie di parmigiano.
Nonostante la veneranda età l’asparago è sempre molto apprezzato, la cucina italiana ha recentemente realizzato una pubblicazione sugli asparagi, scaricabile gratuitamente dal loro sito. Abbiamo provato per voi alcune ricette ed ecco una proposta per un menù tutto dedicato a questo straordinario ortaggio primaverile.
Ivana

Lavoratori! Si può ancora festeggiare?
Si avvicina la stagione dei pomodori e tornano gli schiavi. A quasi un quarto di secolo dal film Pummarò di Michele Placido nel 1990, nulla è cambiato. Nulla di nuovo sulla tracciabilità di chi lavora i prodotti e sulle filiere della grande distribuzione. Non è stato inserito nell’ordinamento penale il reato di caporalato e non c’è stato nessun inasprimento nei confronti dei caporali. Un comportamento criminale ancora oggi punito solo in caso di flagranza di reato e con una sanzione amministrativa di 50 euro per ogni lavoratore. Lavoratori sottopagati nella maggior parte migranti, ridotti in condizioni che spesso superano il concetto di schiavitù. Li abbiamo visti e rivisti nelle trasmissioni di Report e nelle inchieste di Riccardo Iacona, dalle arance di Rosarno ai pomodori di Foggia. Li abbiamo visti nelle produzioni internazionali come la trasmissione di France 2, con «Les recoltes de la honte», i raccolti della vergogna, dove si ripercorre la filiera di broccoli e pomodori, partendo da un’azienda di distribuzione in Veneto. Un viaggio proseguito nelle campagne del foggiano tra migranti costretti a vivere in baraccopoli improvvisate, senz’acqua, costretti a lavorare gratis per ripagarsi il viaggio, tra la fame e le angherie caporali. Un reportage che ha indignato l’Europa, tanto da boicottare i prodotti italiani presenti sugli scaffali dei supermercati europei. Ultimo, ma solo in ordine di tempo “Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento” il film-inchiesta sul fenomeno dei migranti realizzato da Stefano Mencherini, giornalista indipendente e regista Rai, e coprodotto da Flai-Cgil Nazionale insieme alla Less onlus di Napoli. Negli ultimi anni la crisi che ha colpito l’Europa invece di colpire più incisivamente gli evasori registra un aumento di illegalità, che va dall’evasione contributiva all’uso improprio dell’apprendistato e al sottoinquadramento, fino all’utilizzo totale del lavoro nero, in Italia nella stragrande maggioranza dei casi, ma anche in Germania, come hanno testimoniato recentemente i lavoratori rumeni, assoldati nelle fattorie tedesche che producono le carni di maiale. Un quarto di secolo da ripercorre per continuare a parlarne, per continuare a denunciare. Per chiederci se non sia il caso di camminare e manifestare insieme a loro, perché la nostra battaglia di civiltà deve essere: cibo migliore ma soprattutto più diritti per tutti. Camminare e manifestare insieme a loro è un dovere, è rispetto della dignità umana, nostra e delle persone che lavorano nel nostro Paese.

Uova…da giocare
Di tante usanze made in Usa che abbiamo fatto nostre con eccessivo entusiasmo, la caccia pasquale alle uova, è decisamente la più divertente. È fuori dalla logica del consumismo che accomuna altre tradizioni (da Halloween a San Valentino) e richiama lo spirito autentico del gioco: divertirsi con poco, coinvolgendo tutti. Basta infatti che una mamma o un papà volenterosi il sabato santo nascondano uova colorate per tutta casa (gli americani lo fanno in giardino, ma quanti di noi ne hanno uno?) e il giorno dopo, finito il pranzo, chiedano a grandi e piccoli di trovarle e raccoglierle in tanti cestini. L’importante è fomentare un po’ la competizione formando delle squadre, promettendo ai vincitori quantità industriali di cioccolato, assegnando alle uova nascoste valore e punteggio diversi a seconda d
el colore o di altri criteri. Le varianti sono infinite. Si possono usare gli ovetti di cioccolata, ma di regola andrebbero preparate nei giorni precedenti, magari con l’aiuto dei bambini, uova variopinte, secondo una delle mille tecniche possibili: dipinte o immerse in acqua colorata, decorate a decoupage o con fili d’erba, coperte di adesivi o di brillantini. E la tradizione dell’uovo colorato ci riporta subito in Europa e in particolare alla Pasqua ortodossa. La Romania, ad esempio, è famosa per questa usanza secolare e in alcune zone – la Bucovina in primis – laboratori specializzati realizzano dei veri e propri capolavori: uova sode rosse, gialle, verdi e azzurre, uova decorate con sagome di carta o foglioline di verdura (di solito a forma di croce), uova dipinte a mano, con colori vegetali, mescolati alla cera calda e uova impreziosite da raffinati motivi ornamentali: uccelli, animali, simboli e scene bibliche. Quelle fatte in casa, poi, sono destinate al tradizionale “combattimento” del giorno di Pasqua. Finito il pranzo, infatti, ciascuno impugna il proprio uovo lasciando scoperta la parte appuntita e lo fa cozzare contro le uova di parenti e amici, con il botta e risposta: “Cristo è risorto” – “Davvero è risorto”. Il proprietario dell’uovo meno danneggiato sarà preservato da malanni e malattie.
Quale augurio migliore per il giorno di Pasqua?
Silvia Gusmano

Antesignani del brunch: la colazione di Pasqua
I romani tendono ad accaparrarsi la tradizione della colazione di Pasqua, a colpi di coratella, corallina e carciofi. Ma quella tradizione in effetti è diffusa in tutt’Italia ed è legata a un rito religioso che rappresenta la fine del digiuno quaresimale e la celebrazione del ritorno alla vita. Una colazione allegra, colorata e piena di sorprese, dolci e salate che coinvolge tutti cattolici praticanti e non. Io la ricordo nella casa di campagna della nonna, con un misto di ansia e felicità. Nonna si alzava alle sei, indossava il vestito della festa -comunque nero come tutti gli altri giorni-, metteva una bottiglietta vuota in borsa e, rigorosamente a digiuno, andava in paese per la messa delle sette. Il parroco durante la celebrazione benediceva l’acqua in una vecchia conca di rame e alla fine della celebrazione iniziava la distribuzione. Tutte le vecchiette, fazzoletto in testa e bottiglietta in mano si mettevano in fila e con un mestolino prendevano la loro razione di acqua benedetta. Tornata a casa nonna, mi chiamava e iniziavamo ad apparecchiare con la tovaglia bianca di fiandra, poi mi mandava a raccogliere qualche rosa e le uova fresche nel pollaio. Il cestino con i fiori e le uova fresche al centro del tavolo, e poi: pizza. formaggio, salame, uova sode colorate, pere tagliate a spicchi con il pecorino e il primosale, fiadoni, frittata con i carciofi, pizza con la ricotta, neole, spianata dolce e parrozzo. Non ricordo quanti schiaffi ho preso sulle mani, mentre spizzicavo apparecchiando, non si poteva toccare nulla. Quando tutti erano presenti, nonna apriva la borsetta tirava fuori l’acqua benedetta, si faceva il segno della croce e spruzzava una goccia per ogni piatto: ora si può mangiare. E poi buona Pasqua a tutti!
Ivana

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