lo sapevi? Spunti per conversare

C’è un cavallo in giro per l’Europa?

da Agra Facts n. 12 del 13 febbraio 2013

Borg chiede controlli e test più stringenti dopo la frode della carne di cavallo

La bozza di misure della Commissione per testare i prodotti trasformati di carne per il DNA equino e portare avanti i controlli sui residui di phenylbutazone – una trattamento medico usato per i cavalli – nella carne macellata di equino inclusa quella importata, è stata presentata ieri all’incontro informale dei Ministri dell’Agricoltura colpiti dalle recenti controversie sulla carne equina. Queste misure – che rimangono raccomandazioni – saranno cofinanziate (50%) dalla Commissione e saranno portate al voto al Comitato Permanente del 15 febbraio. Parlando ai giornalisti, il Commissario Borg ha affermato che i risultati di questo “intensivo piano di monitoraggio” da condurre per un periodo di 30 giorni (marzo 1-30) – in tutti gli SM indipendentemente dal fatto che ci siano o meno indagini in corso – saranno pubblicati il 15 aprile. L’intento è di valutare la situazione dopo i primi 30 giorni, ma di prolungare il test del DNA per 3 mesi per stabilire il trend delle etichettature ingannevoli. Durante il mese di marzo, verranno analizzati 2.500 campioni di prodotti di carne trasformata dagli SM – in proporzione alla dimensione del loro mercato interno. Dei 4.000 campioni analizzati per il phenylbutazone nei macelli – 2.500 campioni saranno presi dalla carne equina prodotta in UE e 1.500 sulle importazioni, con il Commissario che evidenzia che l’UE importa il 30% della sua carne equina. Borg ha ribadito che non ci sono indicazioni di un problema di sicurezza alimentare ma piuttosto di “un uso fraudolento del sistema di etichettatura per guadagni economici”. “Ma se si sviluppa in questione di sicurezza alimentare, abbiamo specifiche norme che andranno applicate”, ha aggiunto. Parlando alla conferenza stampa, Coveney ha affermato che vendere carne equina economica come manzo è “del tutto inaccettabile per l’integrità della catena alimentare”, insistendo che i Paesi “hanno bisogno di andare in fondo alla questione per scoprire il responsabile”.

Lo scandalo della carne di cavallo è la prova che l’ossessione per il taglio dei costi ha oltrepassato la soglia della sicurezza. Se vogliono evitare enormi danni d’immagine, gli operatori del settore dovranno cambiare le loro pratiche. Estratti.
 di John Gapper
Era dai tempi di Sweeney Todd che non c’era altrettanta incertezza sugli ingredienti della carne macinata: questa volta non si tratta dei clienti del diabolico barbiere di Fleet Street, ma dei cavalli della Romania. Dato che la carne di cavallo è più magra della carne di manzo di bassa qualità e contiene più omega 3, può anche darsi che questo sia uno di quei rari casi di sofisticazione che rende un alimento più salutare. Ma ciò non chiarisce affatto l’intera filiera tramite la quale i supermercati e i ristoranti si procurano gli alimenti. Se finora non si sono accorti della carne di cavallo, cos’altro può essersi introdotto a loro insaputa nella filiera? Al vertice del mercato, dove i macellai bio promuovono la tracciabilità alimentare e in pratica conosci perfino il nome dell’animale che metti in tavola, scambiare un cavallo per una mucca è impensabile. Ma all’estremità opposta del mercato, oberata dall’aumento dei prezzi e dalla crescente domanda di carne dalla Cina e dalle economie emergenti, di fatto finiscono in pentola strane cose. Così non si può andare avanti. L’industria automobilistica statunitense una volta dovette affrontare un caso analogo con i fornitori, spremuti così tanto che il prodotto perse sempre più qualità e i produttori fallirono. Per quanto sia difficile instaurare buoni rapporti con i fornitori in un mondo in cui i consumatori chiedono prezzi bassi, l’industria alimentare non ha alternative. Da un certo punto di vista, la concentrazione di produzione e distribuzione verificatasi negli ultimi decenni – durante i quali i negozi di quartiere sono stati rimpiazzati da supermercati riforniti da grossisti – ha costituito un buon affare per il consumatore medio. Ha infatti elevato la qualità in genere (non c’è bisogno di parlare degli ingredienti delle salsicce britanniche e dei polpettoni negli anni settanta) e ha messo un freno ai prezzi. Nei due decenni prima del 2007 nei negozi i prezzi sono scesi in termini reali. Non soltanto i prezzi delle materie prime erano più bassi, ma i supermercati li riducevano acquistando tramite reti di fornitori – agricoltori, aziende alimentari e commercianti – che per ogni ordine dovevano dimostrarsi più competitivi possibile. Tutto è cambiato nel 2007-08 con il primo dei molti scossoni ai prezzi delle materie prime. L’uso negli Stati Uniti di prodotti agricoli per la produzione di combustibile ha fatto impennare il prezzo degli oli di mais, di palma e di barbabietola, e i mercati hanno avvertito la pressione della crescente domanda di carne dei paesi emergenti. Il consumo procapite di carne nella sola Cina è quadruplicato dal 1960 a oggi. All’industria alimentare è rimasta una catena di fornitori lunga, complicata, transnazionale e sotto enormi pressioni. Ed ecco che entrano in gioco i cavalli: in questo caso la carne di cavallo romena pare sia finita nelle lasagne “al ragù di manzo” e in altri prodotti venduti da supermercati di Francia e Regno Unito tramite un fornitore cipriota e un distributore francese. A questa notizia i supermercati hanno alzato le braccia al cielo e giurato di non avere idea di come ciò sia potuto accadere. Ma sulle proprie filiere avevano gli occhi ben chiusi: non sapevano dei cavalli perché non sapevano granché nemmeno delle mucche, avendo sempre affidato tale responsabilità ai loro fornitori diretti, che a loro volta contavano sui propri fornitori e così via. “I supermercati non sono molto informati sui loro prodotti e i rapporti di lavoro con i fornitori sono transnazionali”, dice Sion Robert, senior partner della società di consulenze European Food and Farming Partnerships. “Uno dei loro fornitori può trovarsi sotto forti pressioni finanziarie a loro insaputa”. Del resto è anche vero che non hanno mai voluto saperne di più, dato che i supermercati – al pari delle aziende biologiche che producono sementi e fertilizzanti – sono tra i pochi ad aver conservato i loro margini di profitto negli ultimi anni. Quindi le pressioni e i problemi si sono verificati in mezzo a questa filiera, tra le aziende del comparto alimentare e i coltivatori. “L’agricoltore è un acquirente senza potere contrattuale, che incide pochissimo sul mercato”, dice Justin Sherrard di Rabobank, secondo cui è indispensabile che i fornitori del settore alimentare abbiano rapporti molto più stretti. “C’è un limite alle pressioni alle quali si possono sottoporre di continuo i fornitori”. Aver venduto carne di cavallo per carne di manzo è il segno plateale che quel limite è stato raggiunto. Anche se poche le persone si preoccupano di aver mangiato carne equina – e in effetti così dovrebbe essere – gli ebrei e i musulmani praticanti hanno tutto il diritto di indignarsi se della carne di maiale dovesse finire mescolata alla carne di manzo. Un modo molto efficace per ridurre i costi è lo spot trading dei prodotti agricoli – spesso tramite piattaforme elettroniche. Ma ciò non influisce affatto in termini di promozione della qualità e dei guadagni, ed è oltretutto difficile che fornitori e agricoltori ci investano sul lungo periodo, sottoposti come sono all’instabilità dei prezzi mentre si arrabattano per aggiudicarsi qualche ordine.

Un ottimo investimento
Prima della crisi del 2008, l’industria dell’automobile negli Stati Uniti fu presa in questa stessa trappola e si arrivò alla bancarotta di Chrysler e General Motors. All’epoca i produttori avevano spinto di continuo i fornitori nella corsa al ribasso dei prezzi per ridurre i loro stessi costi, e si erano ritrovati a vendere a prezzi stracciati automobili di scarsa qualità. Al contrario, le case automobilistiche giapponesi come la Toyota e la Honda hanno sempre avuto un rapporto più collaborativo e a lungo termine con i loro fornitori, dando la giusta importanza all’innovazione e alla qualità più che al prezzo più basso possibile. E le case automobilistiche americane hanno dovuto seguirne l’esempio. È molto difficile passare da un circolo vizioso di taglio delle spese e calo della qualità a un circolo virtuoso di cooperazione e innovazione, specialmente quando i soldi scarseggiano. Alcuni consumatori saranno sicuramente disposti a pagare di più pur di contare su tracciabilità e forniture dirette da aziende agricole selezionate. Ma per la maggior parte delle persone questo resterà un lusso. Eppure cambiare è possibile, anche per il mercato di massa. L’immagine di McDonald si era notevolmente appannata in seguito alle rivelazioni del 2003 del libro Fast food nation di Eric Schlosser sulla scarsa qualità della carne utilizzata. Adesso McDonald traccia tutta la carne servita nei ristoranti del Regno Unito che proviene direttamente da 17.500 allevamenti in Irlanda e Regno Unito grazie a contratti a lungo termine. E molte altre aziende del settore alimentare stanno adottando lo stesso provvedimento. Tenuto conto dei rischi alla reputazione che corrono le catene di ristoranti e di supermercati se lasciano solo al caso simili questioni – o a qualsiasi fornitore che venda di sua iniziativa tranci anonimi di carne – questo è sicuramente un ottimo investimento.
Traduzione di Anna Bissanti  dall’articolo originale  del  Financial Times

 

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Una nuova manna: arriva il dolcificante green

Stevia, sembra quasi una strenna di Natale, invece è il nuovo dolcificante, una rivoluzione tutta naturale, che sta prendendo il posto della classica zolletta di zucchero. Per la felicità dei diabetici e della bilancia, Stevia non ha calorie e non provoca carie. Questa piccola piantina originaria del Brasile e del Paraguay ha un potere dolcificante pari a 200/300 volte quello dello zucchero. Dopo averla sottoposta a numerosi studi scientifici l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ne ha autorizzato l’uso sino ad un massimo di 4 mg per chilo di peso corporeo. Questo perché non sono disponibili  ancora dati scientifici significativi sugli effetti a lungo termine. Per ora possiamo acquistarla fresca e tenerne una piantina in casa usando le foglie per dolcificare il caffè. Si può acquistare anche secca: ci sono le foglie in polvere (20/30 volte più dolci dello zucchero), l’estratto in polvere (200/300 volte più dolce dello zucchero). Esiste anche  una soluzione liquida (circa 70 volte più dolce dello zucchero), o  in bustine e compresse dolcificanti. Che lo zucchero provochi danni significativi al fegato e alla salute lo sappiamo, ce lo hanno ricordato anche i nostri politici quando a più riprese hanno cercato con questa scusa di imporre una tassa sulle bevande gassate contenenti troppi zuccheri. E allora ecco che arriva in soccorso l’alternativa naturale, la nuova “manna” che ci regalerà, si spera, una vita un po’ meno “amara”.
Ivana Santomo

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DULCIS IN FUNDO? Bisogna preparasi dall’inizio.

Tra parenti e amici forse le vacanze natalizie ci regaleranno anche qualche seratina da dedicare al nostro lui o lei. Per un menù tutto eros e passione vi rimandiamo a San Valentino, per ora solo qualche suggerimento su cosa bisogna evitare per non rovinare un possibile successo in amore.  I cibi da schivare non sono pochi, partendo da aglio e cipolla, soprattutto se crudi, in questo possono esservi d’aiuto le ricette di Filippo La Mantia, che dell’assenza di questi due ingredienti, ne ha fatto un credo. Poi niente fagioli o legumi perché causa di effetti collaterali, non proprio gradevoli. Al bando minestrine e purè: sanno troppo di ospedale. Attenti anche alle ricette troppo salutiste, dalle insalatine di germogli di soia ai centrifugati rigorosamente bio, non sono molto romantiche. Escludete anche il fast-food, in contraddizione con una notte di amore che si spera slow. No ai cibi troppo pesanti o ricchi di grassi, provocano affaticamento al fegato e implicano una concentrazione di sangue al livello intestinale: ne abbiamo bisogno altrove. Stessa cosa per gli alcolici che solo in una prima fase e a piccole dosi danno eccitazione, ma nel momento clou sono di ostacolo. A questo punto concentratevi su piatti semplici e gustosi, curati nell’immagine ma senza esagerare. Meglio impiattare sempre la pietanza ha un effetto migliore all’occhio e non rischiate che il partner mangi troppo. Lasciatevi una portata da servire in un piatto per due da dove si possa spizzicare insieme, un antipasto, o una tagliata di frutta per chiudere. Curate l’atmosfera, aiutandovi con candele e una musica in sottofondo (attenti al volume, non deve disturbare un dialogo che può essere fatto a bassa voce). Dulcis in fundo: Il vino, scelto con cura e abbinato ai cibi (ma non bisogna bere troppo per evitare che una sbornia rovini la serata). Auguri a tutti per un incontro indimenticabile e un dopocena da mille e una notte!
Ivana Santomo

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Ciò che è buono non fa male…

Per i golosi è la notizia dell’anno: le patate fritte non fanno male. Chi non si è tormentato davanti ad un piatto di patate fritte, così buone e così caloriche? Per me erano di sicuro un tormento, quando da bambina, sempre grassottella, mi dicevano: “Cosa mangi? Pasta, nutella e patate fritte! Ti fanno male!” Capiamoci, privarsi di quel che ci piace non è mai una mossa troppo saggia, perché fiacca l’umore e di questi tempi non è proprio il caso. In soccorso arriva giustappunto la buona novella: le patate fritte non fanno male. A restituire il sorriso ai ghiottoni è una ricerca dell’Università di Napoli. Lo studio recupera  i famosi bastoncini dorati dal cibo spazzatura, definendoli addirittura prodotti nutrizionalmente ottimi. Basta cucinarle nel modo giusto. Le conclusioni della ricerca sulla gastronomia molecolare, coordinati dal professor Vincenzo Fogliano, attraverso gli esperimenti fatti negli ultimi mesi dimostrano che mentre vegetali come le melanzane o le zucchine possono assorbire fino al 30% di olio, le patate o le pizzette fritte solo il 5% . Le fritture con pastelle possono dunque essere importanti per ridurre l’assorbimento di olio. Nelle patate fritte, in particolare, dice il professor Fogliano «un ruolo fondamentale lo gioca l’amido che ‘sigilla’ il pezzo da friggere, riducendo l’assorbimento dell’olio». Per una frittura perfetta vi suggerisco il libro “friggere bene” (ed. Tecniche Nuove, pp. 144, euro 8,90),  un vademecum che sfata punto per punto tutti i pregiudizi sul tema, del quale vi riporto una sintesi pubblicata dall’espressonline nella rubrica food&wine (leggi la sintesi). E allora riappropriamoci di questo comfort food che fa bene all’umore. Non c’è nulla di meglio che sedersi davanti a una bella tavola imbandita quando sei giù di morale, l’essenziale e non trasformala in “antidepressivo” perché questo ci porterebbe ad esagerare. MODERAZIONE è sempre la parola d’ordine, MA POSITIVA!
Ivana Santomo

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Non solo frutta

Le castagne sono ricche di carboidrati complessi (amido) come i cereali, ed è per questo che non possono essere catalogate solo ed esclusivamente come frutta. Ricchissime di fibre, di potassio e di vitamine del gruppo B, per moltissimo tempo sono state il cibo predominante, povero ma altamente nutriente, per gli abitanti degli Appennini durante l’autunno e non solo. Negli ultimi anni sono diventate sempre più rare a causa di un insetto killer, che ne sta minando la sopravvivenza. L’insetto viene dalla Cina, ed è un parassita che attacca gli alberi di castagno impedendo la fruttificazione. La battaglia contro questo parassita è appena iniziata e ci vorranno almeno quattro anni per debbellarlo. A lanciare l’allarme è stata la Coldiretti, dando le cifre delle regioni più colpite, dalla Campania al Lazio, dalla Toscana all’Emilia Romagna ma anche Calabria, Veneto, Piemonte e Lombardia. Un duro colpo per l’Italia che è leader europea nella produzione di castagne. Certamente non ne avevamo bisogno! Speriamo che non finisca come per le palme, colpite dal punteruolo rosso,  che abbiamo visto morire una ad una lungo le nostre coste.
L’importazione di questi  insetti, forse in tempi di globalizzazione non si può evitare, ma dalla Cina continuano ad arrivare numerosissimi prodotti a rischio -alcuni, ancora troppo pochi, sono bloccati dall’Unione europea- : alimenti che da materie prime di scarsa qualità contengono sostanze cancerogene e dannose per il fegato, i falsi giocattoli che sono pieni di sostanze tossiche, gli indumenti colorati con sostanze nocive …  Il consumatore in proposito può far poco, ma è bene che a quel poco non rinunci: controlliamo sempre, quando è possibile, la filiera produttiva e la provenienza di ciò che acquistiamo.
Ivana Santomo
per approfondire, vi riportiamo anche questo articolo scritto da Luisa Barberis (Articolo tratto da Il Secolo XIX del 14/10/2012)

L’insetto killer che uccide le castagne “Slow food”

C’erano una volta le casta­gne. Ora rischiano di diventare rare come tartufi. Il 2012 sarà ricordato come l’anno nero per il mondo che ruota intorno alla raccolta e trasfor­mazione delle castagne del presidio Slow Food ligure della Valbormida. Nonostante il clima sia stato perfetto, nei boschi non sono nati i prelibati frutti: quest’anno si riuscirà a raccogliere un solo quintale di castagne contro i 40 degli ultimi due anni e addirittura gli 80 quintali delle stagioni eccezionali, è colpa del cinipide, un insetto originario della Cina, che per effetto della globalizzazione è arrivato in Italia e, a piccoli passi, ha distrutto tutte le gemme dei castagni locali minando una produzione di nicchia per la Valbormida che aveva consentito a produttori e trasformatori di dar vita al presidio Slow Food della castagna essiccata nei tecci di Murialdo e Calizzano.
«Non si ricorda un anno così drammatico. Possono capitare stagioni di magra, nel 1977 a causa della siccità era successo che non ci fossero frutti, ma per la prima volta, in una tradizione che nelle famiglie valbormidesi si tramanda da 200 anni, quest’autunno verrà acceso un solo essiccatoio dei sette esistenti perché mancano le castagne» spiega  Luca Ghisolfo, responsabile della cooperativa “Il leccio” che dal 2002 gestisce il presidio. «La situazione è tragica: mi basta dire che quest’anno non andremo al Salone del gusto, la vetrina regina delle manifestazioni di settore, perché non abbiamo il prodotto e, senza la nostra eccellenza, abbiamo deciso di saltare l’appuntamento. Rinunciamo alla riunione globale di Terra Madre dove tutto il mondo dei produttori si riunisce per confrontarsi. Ormai abbiamo finito anche le scorte di castagne: restano solo biscotti e confettura che però andremo presto a finire».
Per combattere la malattia sono stati fatti numerosi lanci di una sostanza antagonista al cinipide ma, per far sì che la cura possa essere efficace, far guarire le piante e consentir loro di ritornare a produrre castagne, occorrerà aspettare almeno 4 o 5 anni. Uno stop lunghissimo che mette a dura prova la continuità della tradizione. Il rischio è che il presidio di Calizzano e Murialdo ne possa soffrire.
«Quest’anno il presidio Slow Food compie 10 anni, avremmo voluto festeggiare in grande stile e invece non è possibile: alle prossime feste addirittura faremo girare la macchina a vuoto perché non abbiamo più castagne per simulare la battitura e promuovere l’attività – aggiunge Ghisolfo – sapevamo il cinipide aveva danneggiato pesantemente i nostri boschi, ma non ci aspettavamo un anno così nero, è la natura, fa il suo corso e va accettata. Noi però non buttiamo la spugna: chiedo che ogni primavera vengano fatti nuovi lanci e che la situazione possa esser stabilizzata in modo da far ripartire la produzione. Sarebbe un peccato perdere una tradizione così radicata in Valbormida». Per evitare di perder la tradizione il presidio è impegnato in un’importante opera di divulgazione che vede protagonisti i bambini: vengono portati nei boschi per una giornata all’insegna della castagna. Ai piccoli viene raccontata la vita di un tempo, si mostrano i seccatoi e l’arte di fare i cestini e si affida alla loro memoria arte e cultura valbormidese. L’altra faccia della medaglia è quella che riguarda il mercato: le poche castagne in vendita hanno raggiunto prezzi record, anche 3,50 euro al chilogrammo contro i 40 o 50 centesimi degli anni passati. Un sacchetto acquistate sulle varie feste può costare dai 3 ai 5 euro. L’invito ai consumatori è rivolgersi a venditori di fiducia. «Per tutelare il commercio occorre che i prodotti in vendita siamo almeno sani – chiude Ghisolfo – In anni così duri io sono per una scelta più drastica: regalare le castagne visto che non si può garantire la nostra qualità».

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Vino Novello: quest’anno arriva prima

Il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ha decretato che il 30 ottobre sarà possibile l’immissione al consumo del vino novello. Complice una stagione molto calda e assolata che ha anticipato le vendemmie e la semplificazione da parte del ministero delle norme nazionali di attuazione della normativa comunitaria in materia di etichettatura in generale, di menzioni tradizionali e di designazione e presentazione dei vini a DOP e IGP. (leggi le nuove regole).
Potremo così gustare in anticipo rispetto agli altri anni il primo bicchiere di vino della stagione 2012, ottima a dire dei viticultori. Il vino novello fa parte dell’antica tradizione contadina: con l’arrivo dell’autunno si spillavano piccole quantità di vino dalle botti in fermentazione, per controllarne lo stato di avanzamento e la qualità. Questo permetteva ai contadini di correggere i imperfezioni dell’annata, e di prendere la prima sbornia della stagione. Oggi il novello è diventata una vera e propria produzione a se, e si realizza in modo completamente diverso, con una tecnica importata dalla regione francese del Beaujolais Nouveau, da cui prende il nome “Novello”, basata sulla macerazione carbonica delle uve, che consente di vinificare l’uva in brevissimo tempo.
Non perdiamo il primo assaggio della stagione di questo meraviglioso rosso vivo, porpora intenso con riflessi violacei. Pensare al novello come ad un vino di second’orndine è un errore. Il vino novello ha una grande peculiarità perché insieme ad un grandissimo aroma intenso, fruttato, con profumi di frutti di bosco come lamponi e fragole, non perde le note del vino fresco.
Tra una castagna e l’altra, attenti alle sbornie: il vino novello è solitamente un vino leggero, fresco e vivace, e di facile sorso.
Ivana Santomo

 

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Vino Novello 2012

 da un articolo di  Alberto Sabellico – Antonio Rossi del 03-09-2012  – Corriere

Vino Novello

…Il sistema di produzione nonché l’immissione al consumo del “vino novello” è stata notevolmente semplificata, abrogando il precedente decreto 13 luglio 1999. Ai sensi dell’allegato 7 del nuovo decreto, la produzione e immissione al consumo dei vini novelli deve rispettare le seguenti regole:

 

– la menzione tradizionale “novello” è riservata solamente ai vini a DOP o IGP tranquilli e frizzanti;

– la loro immissione al consumo è ora anticipata al 30 ottobre;

– il periodo di vinificazione non può essere inferiore a 10 giorni dall’inizio della vinificazione stessa;

– il processo di fermentazione con macerazione carbonica dell’uva intera deve riguardare almeno il 40% del vino (in precedenza era il 30%);

– il titolo alcolometrico totale minimo al consumo non può essere inferiore a 11% vol. e il limite massimo di zuccheri riduttori residui non deve essere superiore a 10 g/l;

– non sussistono più disposizioni restrittive nell’uso di contenitori di capacità superiore a 1,5 litri e sono altresì soppressi i vincoli sui materiali utilizzabili per i recipienti;

– l’estrazione dagli stabilimenti di confezionamento anteriormente alla data del 30 ottobre è condizionata all’iscrizione sui documenti di trasporto della dicitura “ da non immettere al consumo prima delle ore 0,01 del 30 ottobre .…..(indicare anno)”, eliminando le limitazioni di data esistenti fino ad oggi.
Ulteriori precisazioni relative al modo di ottenimento nonché in materia di utilizzazione di tale menzione possono essere previsti dai relativi disciplinari di produzione. Infine si ricorda che il vino novello deve essere ottenuto interamente con prodotto della stessa annata e non è consentito il taglio con il 15% di vino proveniente da altra vendemmia, come chiarito da una apposita comunicazione del Mipaaf.

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IL CACIO IN TAVOLA

I formaggi amano i contrasti, sicché, a volte si trovano avvolti in erba cipollina o impanati con frutta secca, uvetta e melange di pepe. L’incontro con spezie e ingredienti dolci, esalta gli aromi nascosti del formaggio. In un menù di soli formaggi potete sbizzarrivi tra tantissimi prodotti.
In primis i latticini: qualche cestino di ricotta servito con delle ciotoline di miele accanto; delle mozzarelline o burratine, di bufala e non, accompagnate con tazze piene di pomodorini e ciuffi di basilico. Un tagliere di formaggi dal sapore più deciso accompagnati da piccoli bicchierini con marmellate agli agrumi, alle pere e al peperoncino, composte di cipolle e chatney. Cubetti di formaggi dal taglio più morbido, come le caciottine, insieme a un cestino di pere piccole. Tagli di Gorgonzola e Roquefort serviti su piatti con al centro chicchi d’uva e noci sgusciate. Si potrebbe continuare all’infinito. Ricordate sempre di fare un piccolo angolo con delle insalatine miste e spicchi di mela, aiutano a colorare la tavola, a compensare le calorie del formaggio e a pulire la bocca per gustare meglio i sapori tra un formaggio e l’altro. Il cestino del pane che accompagna il formaggio deve essere rigorosamente misto: pane bianco e nero, alle olive e alle noci; piccoli quadrotti di focaccia bianca; grissini e tarallini salati; fogli di carta musica e …così via. La tavola deve essere rustica e raffinata: preferiamo tovaglie di lino tinta unita, taglieri di legno e cestini in vimini, foglie di vite da poggiare sulla tavola o intorno ai cestini. Scegliamo la giusta illuminazione, non troppo forte, con qualche candela poggiata qua e là, contornata da fili di paglia.
Ivana
guarda la scheda dei formaggi 

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CACIO E VINO

Il formaggio ama preferibilmente i vini rossi e un po’ fruttati. Ma non disdegna i bianchi ben strutturati. Ad eccezione dei latticini che si sposano meglio con vini bianchi dal profumo leggero. Sugli abbinamenti formaggio vino si potrebbe dissertare per ore, noi invece nello stile di MadamaRicetta vi offriamo un breve elenco.
Formaggi freschi e latticini o formaggi caprini giovani e formaggi a pasta dura non cotta: vini bianchi, dal profumo leggero, rotondi, mediamente freschi, o vini rossi giovani, non molto impegnativi, dal profumo leggero, moderatamente morbidi e moderatamente freschi.
Formaggi a pasta molle o  formaggi a pasta dura, cotta, ma poco stagionati: vini rossi di buon corpo e buona personalità, con dei profumi abbastanza intensi, moderatamente morbidi a temperatura ambiente, abbastanza tannici.
Formaggi a pasta dura cotta, molto stagionati, o caprini stagionati: vini rossi maturi, ricchi di profumi, di grande struttura meglio se invecchiati, dal profumo abbastanza intenso, molto equilibrati, sapidi, giustamente tannici e caldi.
Per esempio…
Latticini (pinot grigio, verdicchio, oggi amati anche con la birra cruda). Formaggi di media stagionatura a pasta molle (taleggio, quartirolo, caprino, caciotta) con (Marzemino del Trentino, lago di Caldano, Merlot delle grave del Friuli, Cirò). Asiago, provolone, montasio (Dolcetto d’Alba, Valpolicella, Chianti, Aglianico del Vulture, Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese o del Friuli). Quando si può, abbinate vini e formaggi della medesima regione: Parmigiano con Sangiovese di Romagna; pecorino sardo con un rosso Cannonau; pecorino toscano con il Chianti, caciotta stagionata marchigiana con la lacrima di Morro d’Alba; Il caciocavalo campano conl’Aglianico e così via.
Per abbinamenti insoliti provate il passito per i formaggi  stagionati, e il vino bianco muffato (se non lo conoscete vale la pena di provarlo), è  ottimo soprattutto con i formaggi forti di capra, gorgonzola o roquefort.
Ivana

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La crisi secondo Einstein

“Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.

La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi.

Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.

Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro.

Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

Albert Einstein

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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